«Come avete fatto a dimenticare? In fondo sono passati solo quindici anni da quando combattevamo per quella che credevamo fosse la nostra Nazione, morendo nelle trincee per cercare di vincere una guerra che nessuno di noi voleva ma che siamo comunque andati a combattere. Come avete fatto ad accettare questa assurdità? Io non potrò più neppure  continuare a lavorare nel calcio per la squadra che ho servito fedelmente per tutti questi anni. Voglio essere il più chiaro possibile: voi tutti state facendo un danno irreparabile a questo Paese e nei confronti di chi lo ha servito e lo ha amato».

E’ il 1933 e tutte le squadre tedesche hanno avuto l’ordine di espellere dalle propria fila i calciatori, allenatori e collaboratori ebrei.

Julius Hirsch è uno di loro.

Quelle riportate sopra sono alcune delle frasi che scriverà alla dirigenza del Karlsruher al momento del forzato commiato.

Adesso fa l’allenatore nel settore giovanile ma non può accettare che accada una cosa del genere nella “sua” Germania.

Il peggio però deve ancora arrivare.

Con la promulgazione delle leggi razziali del 1935, i nazisti mettono definitivamente in chiaro le proprie intenzioni: per gli ebrei non c’è più posto nella vita del Paese.

Il suo amico e compagno di squadra Gottfried Fuchs che con lui nel Karlsruher vinse il campionato tedesco del 1910 gli propone di fuggire in Canada con lui.

«Non c’è più posto qui per noi, le cose possono solo peggiorare» gli dice l’amico.

Julius Hirsch non ci crede, non vuole proprio accettare che il suo popolo si possa essere dimenticato così in fretta di tutto. Lui aveva combattuto per la Germania nella Prima Guerra Mondiale, meritandosi per il suo coraggio perfino la Croce di Ferro.

Lui, che in quella guerra aveva perso un fratello.

E poi le partite, i trionfi e i gol con il Karlsruher, il SpVgg Fürth e addirittura la nazionale tedesca dove fa il suo esordio a diciotto anni.

Ha perfino sposato una tedesca ed è convinto che tutta questa follia abbia i giorni contati.

Nel 1938 i suoi due figli, Esther e Heinold, vengono espulsi da scuola.

Decide di trasferirsi a Parigi con la moglie Ella Karolina Hauser e i figli.

“In attesa che tutto torni alla normalità”.

La normalità non tornerà mai più.

Cosa convinca Hirsch a tornare in Patria pochi mesi dopo non è francamente possibile saperlo.

La Germania è in guerra e nel giro di pochi anni quella che sembrava una facile vittoria si trasforma per il popolo tedesco in un incubo.

Nel 1939, in un ultimo disperato tentativo di salvare la famiglia, Julius Hirsch decide di divorziare dalla sua amata Ella.

“Forse almeno loro saranno lasciati in pace” è quello che pensa Julius in quei drammatici giorni.

La situazione invece precipita.

Julius non ha più un lavoro.

Nel 1943 arriva una lettera della Gestapo che lo invita a presentarsi nella sede di Karlsruhe per un non precisato “incarico professionale”.

Per lui ci sarà solo un treno per Baden prima e per Auschwitz, nel tristemente celebre campo di concentramento, poi.

E’ il primo marzo del 1943.

Due giorni dopo riesce a scrivere una lettera ai figli.

C’è il timbro postale del 3 marzo.

«Miei cari. Sono arrivato a destinazione. Sta andando tutto bene. Sono in Alta Slesia. Abbiate cura di voi».

Di Julius “Juller” Hirsch, numero “11” tra i più bravi e dotati di tutta la storia del calcio tedesco, non si avranno più notizie.

Solo nel 1950, un lustro esatto dopo la fine della guerra, verrà dichiarata una data di morte per Julius Hirsch: l’8 maggio del 1945, diversi mesi dopo l’evacuazione e la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa.

Il suo nome non appare nei registri di Auschwitz e sono in molti a pensare che in realtà la vita di Julius Hirsch sia finita in una camera a gas pochi giorni dopo il suo arrivo al campo di concentramento.

Aveva creduto che non sarebbe stato possibile arrivare fino a questo punto, che quella follia collettiva che quell’ex-pittore ed ex-soldato austriaco aveva sapientemente costruito sarebbe finita per cadere come un castello di carte.

Ha avuto torto.

E ha pagato con la vita il suo errore di valutazione.

Julius Hirsch nasce ad Achern nel 1892 e da quando ha dieci anni gioca nelle file del Karlsruher FV. Di giocare a calcio è bravo davvero. Tanto che a soli diciassette anni diventa un membro imprescindibile della prima squadra dei rossoneri del Sud della Germania.

In quel periodo il Karlsruher FV è un autentico squadrone.

Vince tre Campionati regionali del sud della Germania (la Südkreis-Liga) tra il 1910 e il 1912 e nel 1910 conquista addirittura il titolo nazionale, primo ed unico nella storia del Club.

Hirsch è parte di un trio di attaccanti di grande valore.

Insieme a Fritz Förderer and Gottfried Fuchs diventa uno dei protagonisti del calcio tedesco dell’epoca. Julius, che tutti chiamano “Juller”, è un’ala sinistra di grandi doti tecniche e dotato di un tiro preciso e molto potente.

Nel 1911 arriva la chiamata della Nazionale tedesca.

Sarà il primo calciatore ebreo a vestire la casacca bianca teutonica con la quale parteciperà alle Olimpiadi di Svezia del 1912 anche se l’esperienza non sarà certo indimenticabile: una sconfitta per cinque a uno contro i “cugini” austriaci.

In quello stesso anno si rende però protagonista di un’impresa degna di nota: segna quattro gol in una partita contro l’Olanda con la sua Nazionale e il suo nome diventa popolare in tutti il Paese.

Nel 1913 lascia il suo Karlsruher per trasferirsi al SpVgg Fürth e l’anno successivo conquisterà con questi colori il suo secondo titolo di campione di Germania … poco prima di finire in una trincea per quattro lunghi anni allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Al suo ritorno giocherà un’altra stagione nel SpVgg Fürth prima di far ritorno, nel 1919, al Karlsruher dove rimarrà fino al termine della carriera nel 1925 quando ha trentatre anni.

A quel punto rimarrà nel Club come allenatore delle giovanili fino a quel giorno del 1933 raccontato all’inizio.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Anche i due figli di Julius Hirsch, Heinold ed Esther, verranno imprigionati nelle prime settimane del 1945 nel ghetto di  Theresienstadt ma per fortuna saranno più fortunati del padre visto che saranno liberati dai sovietici nel maggio del 1945.

Gottfried Fuchs, grande amico di Hirsch, provò in tutti i modi a convincerlo a seguirlo in Canada. Anche lui come Hirsch aveva debuttato giovanissimo nella Nazionale tedesca e l’intesa in campo tra i due era consacrata. Fuchs mantenne per quasi novant’anni un invidiabile record: quello del giocatore con il maggior numero di reti segnate per la propria Nazionale. Durante una partita per le qualificazioni alle Olimpiadi di Stoccolma la Germania sconfisse per 12 reti a zero la Russia con Fuchs autore di ben dieci delle marcature.

Record che resistette fino al 2001 quando l’australiano Archie Thompson ne segnò ben tredici nello stesso incontro … vinto dalla sua Nazionale per 31 reti a zero contro le Samoa Americane.

Alcune fonti raccontano che durante il viaggio verso Auschwitz uno dei macchinisti del treno, appassionato di calcio, riconosca Julius Hirsch. Gli racconta dove lo stanno portando e gli offre la possibilità di fuggire. Neppure stavolta Hirsch accetta. La sua fiducia in quella Germania per la quale aveva combattuto era incrollabile.

Fu la sua ultima occasione.

Dal 2005 la Federazione calcistica tedesca assegna un premio intitolato ad Hirsch che viene assegnato a chi si rende protagonista di esempi di tolleranza e di integrazione nel calcio tedesco.

Il primo di questi fu assegnato alla Società del Bayern Monaco per aver organizzato una partita tra la propria Under-17 e una selezione giovanile formata da giocatori israelo-palestinesi.

A Karlsruhe da qualche anno c’è una via che porta il nome di Julius Hirsch situata nelle vicinanze di dove si trovava il vecchio campo di calcio che lo aveva visto in azione.

Doveroso ricordo di un uomo che si era fidato dei suoi compatrioti …