Sono gli ultimi giorni di maggio del 1992.

Fra meno di due settimane inizieranno i Campionati Europei di calcio.

Toccherà alla civile e neutrale Svezia ospitarli.

L’Europa però è in subbuglio.

Ad est il mondo sta cambiando.

L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche non esiste più.

Invece del solito URSS a quegli Europei parteciperà la CSI, la Comunità degli Stati Indipendenti. Non ci sono più i lettoni, gli estoni e i lituani.

E non ci sono più neppure i georgiani che già due anni prima si erano dichiarati regione autonoma e indipendente dalla “grande madre Russia”.

Ma c’è ancora molto di più e di molto più incalzante.

E tragico.

Anche la Jugoslavia non esiste praticamente più.

La guerra che si è scatenata nel Paese tra opposte etnie e religioni ha sbriciolato una Nazione tenuta insieme per decenni dalla determinazione e dal carisma di Josip Broz Tito.

Sul campo la Nazionale Jugoslava si è conquistata la qualificazione a fatica, vincendo il proprio girone con un solo punto di vantaggio sulla Danimarca.

Ma “quella” Jugoslavia è una delle più forti di sempre.

Robert Prosinečki, Dejan Savićević,  Vladimir Jugović, Davor Šuker, Vladimir Jugović, Zvonimi Boban, Robert Jarni, Darko Pancev (capocannoniere delle qualificazioni con 10 reti) Mehmed Baždarević, Sinisa Mihailovic, Mario Stanic, Dragan Stojkovic, Predrag Mijatovic … uno squadrone che per molti è una delle favorite per la vittoria finale.

I giocatori Croati in realtà si sono già autoesclusi già nell’anno precedente ma quella che parte per gli Europei di Svezia è comunque una grande nazionale.

I “plavi” (i blu) sono già atterrati in terra scandinava ma le pressioni sono enormi.

Ci sono migliaia di profughi croati che sono arrivati in Svezia e per questo motivo si temono attentati e le forze di pubblica sicurezza svedesi sono impegnate ventiquattro ore su ventiquattro a protezione della nazionale jugoslava.

La situazione poi precipita.

Ci sono pressioni da ogni parte (la UEFA di Lennart Johansson in primis) e si arriva così alla decisione sportivamente peggiore: la nazionale Jugoslava viene esclusa dagli Europei.

La tragedia fa spalla a spalla con la farsa.

Arriva un conto salatissimo alla Federazione jugoslava da parte delle autorità svedesi. Motivo? Il presidio e la protezione della nazionale durante la settimana trascorsa in Svezia.

Non solo la Federazione jugoslava non è in grado di pagare la multa … ma non ci sono neanche voli per Belgrado per permettere ai giocatori di rientrare in Patria.

Una fine ingloriosa e francamente ignobile per una grande Nazionale e per dei giocatori che non meritavano certo un trattamento del genere.

Al loro posto, il primo giugno del 1992, a soli nove giorni dall’inizio della competizione, vengono chiamati i danesi, giunti alle spalle della Jugoslavia nel loro girone.

I giocatori danesi hanno praticamente le valigie pronte per andare in vacanza.

Anzi, qualcuno di loro in vacanza c’è già … e non ha la minima intenzione di rientrare per giocare ancora a calcio dopo una lunga e fortunata stagione.

E’ Michael Laudrup, il più forte calciatore danese dell’epoca che dopo i dissidi con l’allenatore della sua nazionale, Richard Møller Nielsen, non ha nessuna intenzione di interrompere le agognate vacanze per tornare a giocare con la sua Nazionale, anche se si tratta delle finali di un Campionato Europeo.

«Ho appena vinto una Coppa dei Campioni e un campionato. Per quanto ami il mio Paese non ha senso rinunciare ad un po’ di riposo per andare a giocare tre partite, sapendo benissimo che dopo quelle faremmo ritorno a casa».

Per tutti gli altri si tratta invece di una rinuncia tutto sommato minima.

Giocare le finali di una competizione così importante non capita tutti i giorni, anche e soprattutto dopo la delusione della mancata partecipazione ad Italia ’90 di due anni prima.

C’è qualcuno però che sta vivendo una situazione molto diversa da quella dei propri compagni di squadra.

Si chiama Kim Vilfort. E’ un gigante di centonovanta centimetri. Gioca da mediano, è imprescindibile in quella nazionale per la sua forza, la sua intelligenza tattica e la sua umiltà.

e ha una figlia che sta morendo.

La sua piccola Line, di otto anni, è in un letto d’ospedale.

E’ stata colpita da una grave forma di leucemia.

Per lui non si tratta di rinunciare ad una vacanza.

Si tratta di allontanarsi dalla sua bimba … per andare a giocare a pallone.

E’ una scelta difficile, dove cuore e cervello non possono non essere in contrapposizione.

I compagni di nazionale, gli amici, la sua stessa famiglia gli si stringono intorno.

Lo sostengono e gli dicono di andare.

«Kim, si gioca qua vicino, in Svezia. Se ci fosse bisogno di te in poche ore saresti qui, vicino a Line».

Kim Vilfort, con un peso che possiamo solo provare ad immaginare, accetta.

L’undici giugno scende in campo contro l’Inghilterra.

Finisce zero a zero.

La Danimarca tiene botta.

No. I danesi non sono con la testa in vacanza.

Nel secondo incontro affrontano i padroni di casa.

Stavolta la diga non regge. Tomas Brolin segna il gol della vittoria svedese.

Vilfort è in campo, fa come sempre la sua parte.

Manca una partita, contro la Francia di Papin, Cantona e Blanc.

Ai francesi basta un pareggio.

Le cose per la piccola Line non stanno migliorando.

Vilfort chiede di raggiungere la piccola a Copenhagen.

Møller Nielsen gli dà la sua benedizione.

«Vai Kim. Ma se facciamo il miracolo torna qui. Noi ti aspettiamo».

Il miracolo accade.

La Danimarca batte la Francia di Michel Platini per due reti ad una.

Segnano Larsen e Elstrup, a dieci minuti dalla fine.

La Danimarca è in semifinale.

E Kim Vilfort ritorna.

Ora tocca ai campioni in carica dell’Olanda.

Di fronte ci sono Gullit, Van Basten, Bergkamp, Koeman, Rijkaard …

La Danimarca gioca la partita della vita.

Va in vantaggio due volte, sempre con Larsen, ma l’Olanda torna sempre sotto.

Prima con Bergkamp e poi con Rijkaard quando di minuti ne mancano meno di cinque al fischio finale.

Nei supplementari sale in cattedra il gigante del Manchester United, Peter Schmeichel che para di tutto e di più.

Si va ai calci di rigore.

A Vilfort tocca il quarto rigore.

Finora ha sbagliato solo Van Basten.

Se segna lui dopo solo Christofte deve fare il suo dovere.

Un calcio di rigore.

Una cosa insignificante rispetto a quello che sta succedendo nella sua vita.

Vilfort segna e Christofte farà lo stesso.

La Danimarca è in finale.

La vita sa essere meravigliosa e perfida.

Ad un momento professionale probabilmente unico e irripetibile se ne contrappone uno personale terribile … il peggiore per un padre.

Vilfort il 26 giugno 1992 scenderà in campo con i suoi compagni per la finale contro la Germania Ovest.

Inghilterra, Francia e Olanda.

E ora la Germania.

Tutte le grandi favorite hanno incrociato il cammino della “Cenerentola” del torneo.

Solo che la “Cenerentola” è viva e vegeta … e sono gli altri ad essere stati spediti in vacanza.

I tedeschi partono fortissimo.

E’ quasi un assedio. Riedle, Reuter e Buchwald hanno tre grandi occasioni.

Schmeichel è in stato di grazia.

Siamo al diciottesimo. E’ forse la prima volta che la Danimarca mette il naso fuori dalla sua trequarti difensiva. La palla arriva John Jensen, il mediano dell’Arsenal.

Uno che con il gol di confidenza ne ha davvero pochina.

Con i “gunners” è diventato una sorta di barzelletta.

Un gol in cento partite.

Il suo siluro dal vertice destro dell’area però s’infila sotto la traversa difesa da Illgner.

La Germania si riversa in avanti.

Klinsmann colpisce di testa.

In un altro giorno, in un altra partita, in un altro torneo la palla finirebbe in rete.

Schmeichel compie un balzo prodigioso e toglie la palla dall’incrocio dei pali.

Di minuti ne mancano poco più di dieci.

Povlsen vince un duello aereo a metà campo e ributta la palla verso l’area tedesca dove però ci sono tre giocatori tedeschi e solo uno danese.

Quello danese è lui.

Kim Vilfort.

Ha ancora le energie per lanciarsi su quella palla.

Ci arriva prima di Helmer e di Brehme che però gli chiudono la strada verso la porta.

Vilfort fa una finta e rientra con il piede destro mandando “al bar” i due difensori tedeschi.

Queste giocate in Danimarca le fa solo Michael Laudrup.

Ma non può essere lui. Lui è a Riccione, in vacanza.

Vilfort si porta la palla sul sinistro.

E’ un metro scarso fuori dall’area di rigore.

Tira. Il suo sinistro non è potente ma è di una precisione chirurgica: va a baciare il palo alla sinistra di Illgner e si infila in rete.

L’abbraccio dei compagni lo sommerge.

In quell’abbraccio c’è molto di più della gioia per un gol, per quanto decisivo.

C’è l’affetto e la riconoscenza per chi, come Vilfort, non ha mai smesso di lottare, di correre e di sudare insieme a loro … nonostante la partita più importante si giocava a Copenhagen, in un letto d’ospedale.

Poche settimane dopo Line salirà in cielo e Kim Vilfort dovrà fare i conti con il più grande dei dolori.

Si, la vita sa essere meravigliosa e perfida.