E’ una storia che ha ormai un secolo di vita.

E’ una storia che non ha nulla a che fare con il calcio di oggi.

Ed è una storia che merita di essere raccontata.

C’è un posto, la Croazia, dove questa storia non hanno mai smesso di raccontarla. Specialmente tra gli abitanti di Spalato tifosi dell’HAJDUK.

Quando ancora esisteva la Jugoslavia l’Hajduk di Spalato era una delle più grandi squadre del Paese. Non solo per i nove campionati vinti e le altrettante Coppe del Maresciallo Tito (la Coppa di Jugoslavia).

L’Hajduk è stata ed è molto di più di un semplice club calcistico.

Sicuramente molto di più di quello che avrebbero immaginato Fabjan Kaliterna, Lucijan Stella, Ivan Šakić and Vjekoslav Ivanišević, quattro studenti universitari che in pub di Praga decisero di fondare una squadra di calcio nel loro Paese dopo aver assistito entusiasti al derby della città tra Sparta e Slavia.

Per prima cosa però occorreva scegliere un nome.

Un nome importante, che rimanesse impresso e con un significato non banale.

In loro aiuto venne un loro vecchio professore del Ginnasio a Spalato, precisamente quello di storia, Josip Barac.

Raccontò ai quattro ragazzi la storia degli “Hajduks”, bande di ribelli che lottavano con scarse risorse ma infinito coraggio contro la violenza e l’arroganza dell’Impero Ottomano che all’epoca aveva occupato con la sua ferocia i Balcani.

Secondo il Professor Barac, gli “Hajduks” rappresentavano al meglio l’insieme delle migliori qualità umane.

Coraggio, amicizia, comprensione, amore per la libertà e rifiuto del potere manifestato con la tutela e la protezione disinteressata dei più deboli.

Accolto con grande entusiasmo il suggerimento del loro Prof ora si trattava di “costruire” la struttura del Club.

Gli inizi furono tutt’altro che facili. Dopo il permesso alla creazione della Società ottenuto il 13 febbraio del 1911 iniziarono da subito i conflitti con le autorità.

E non poteva essere diversamente vista l’origine del nome.

Inoltre, l’utilizzo nel simbolo del club della “scacchiera bianco-rossa croata” non fu certo ben visto dalla monarchia al potere.

Ma questo era esattamente l’obiettivo: rappresentare le resistenza storica della Croazia e il desiderio, già allora, di una Nazione indipendente.

Si rischiò concretamente che il Club venisse soppresso prima ancora di muovere i suoi primi passi. Ma i quattro ragazzi escogitarono un geniale “escamotage”.

Il loro club sarebbe stato a completa disposizione dei soldati della monarchia che “allenandosi regolarmente sarebbero stati assai più pronti e preparati in caso di conflitto”.

A quel punto la storia può davvero iniziare.

Ed è proprio in quei  primissimi anni di vita del club che nasce la prima leggenda nella storia di questo club. Una leggenda tramandata nel tempo a tal punto che ancora oggi, Nikola Gazdic, è considerato tra i cinque più grandi calciatori della storia ultracentenaria dei “Bili”, i “bianchi” per il colore della loro maglia.

Nikola Gazdic nasce più o meno cinque o sei anni prima dello scoccare del 1900. Non essendoci una data precisa di nascita agli atti è quello che si presume partendo dal fatto che nel 1912 era già in prima squadra e aveva già iniziato a segnare reti.

Gazdic mostra ben presto qualità decisamente superiori alla media.

Ha una tecnica sopraffina, una grande capacità di superare in dribbling e in velocità gli avversari e un tiro potente e preciso.

Diventa rapidamente l’idolo per i sempre più numerosi appassionati che allo “Stari Plac” (il “vecchio campo”) seguono con passione le gesta degli “Hajduci” che dopo un inizio difficile si stanno imponendo come un team di assoluto valore.

Ben presto arriva però il primo conflitto mondiale che interrompe la crescita del Club e quella personale di Gazdic.

Finite le ostilità il calcio torna prepotentemente ad occupare la vita dei Croati.

Ancora non esiste un vero e proprio campionato ufficiale ma ci sono continue sfide locali che diventano ben presto accese e spettacolari.

E non c’è un dubbio alcuno che sia Nikola Gazdic la stella riconosciuta della squadra.

E’ contemporaneamente l’anima e il braccio armato del team.

Segna caterve di reti che permettono all’Hajduk di primeggiare praticamente sempre con le altre squadre di Spalato e soprattutto con quelle più affermate e organizzate di Zagabria.

C’è chi va alle partite solo per vedere lui.

La sua classe, la sua eleganza e soprattutto quella incredibile capacità di “trovare” la porta avversaria sono ormai conosciute e conclamate anche fuori dai confini croati.

Poi improvvisamene e in maniera apparentemente inspiegabile, le sue prestazioni hanno un calo clamoroso.

Ha perso di lucidità, gli errori si susseguono e le sue pause in campo sono sempre più frequenti.

Non riesce più ad essere determinante come aveva abituato compagni e sostenitori.

L’Hajduk sta per recarsi a Zagabria per due attesissime sfide contro il Gradjanski e l’HASK.

C’è grande attesa, sia tra i tifosi che seguono la squadra che tra le migliaia rimaste a Spalato in attesa di notizie.

Arriveranno due sconfitte pesanti e per tutti il responsabile è lui, Nikola Gazdic.

Da allora ad oggi non è cambiato nulla. A fare da capro espiatorio è sempre il più bravo di tutti.

Quando la squadra rientra a Spalato la rabbia dei tifosi si scatena contro quello che fino a poche settimane prima era il loro beniamino.

Per Gazdic è un’umiliazione impossibile da sopportare.

E’ costretto addirittura a lasciare Spalato.

Lui, l’anima dell’Hajduk, quello che all’attivo ha già più di cento reti in meno di novanta partite.

Fugge letteralmente a Belgrado.

Qui decide di sottoporsi ad una visita medica.

Deve capire il perché della sua sempre più condizionante stanchezza, di questa tosse sempre più frequente e fastidiosa e della debolezza che aumenta con il perdere del peso.

Il responso è devastante.

Tubercolosi.

Gazdic torna a Spalato.

Mette al corrente la società del suo stato di salute.

La Società, mentre ne prende atto, gli comunica che “il 22 maggio a Spalato verranno a giocare quelli del Gradanski che ci hanno concesso la rivincita” aggiungendo che “è un peccato che tu non sia in condizione di giocare”.

Nikola Gazdic non ha un solo dubbio al mondo: lui quel giorno sarà in campo insieme ai suoi compagni a “vendicare” la brutta sconfitta di poche settimane prima.

Società e medici ci proveranno con ogni mezzo a dissuaderlo.

“Nikola, nelle tue condizioni non puoi sostenere uno sforzo del genere. Con la tubercolosi non si scherza” è quello che si sente ripetere da tutti come un disco rotto.

Gazdic non vuole saperne.

Il tempo è adesso, non può sopportare un giorno di più il disprezzo della sua gente.

No, Nikola Gazdic non era quello visto a Zagabria in quelle due orribili partite e il 22 maggio tutti dovranno prenderne atto.

E’ consapevole dei rischi che corre e sa benissimo che fisicamente non potrà essere quello di una volta.

Ma Nikola Gazdic a calcio ci sa giocare davvero e come stoppare una palla, come dribblare un avversario e come tirare in porta … beh, queste cose mica te le dimentichi … anche se magari ti dovrai fermare qualche volta in più per riprendere fiato.

La sua tenace e la sua inflessibile determinazione finiscono per convincere tutti.

In quel 22 di maggio del 1921 negli undici che scendono in campo contro il Gradjanski c’è anche lui.

C’è una grande curiosità intorno a Nikola Gazdic.

C’è la curiosità di chi lo ricorda come quell’autentico fenomeno capace di cambiare il corso di una partita con una sua giocata ma c’è anche chi era presente a Zagabria poche settimane e si ricorda del “fantasma” che c’era in campo in quei giorni.

La partita prende subito una brutta piega. Dopo un quarto d’ora è l’attaccante del Gradjanski Ivan Granec a portare in vantaggio i suoi.

Sembra che stia per arrivare l’ennesima delusione per i tifosi dell’Hajduk che quel giorno accorrono in cinquemila al “vecchio campo”.

Gazdic sa bene che con ogni probabilità questa potrebbe essere la sua ultima occasione.

E allora non può e non deve finire così.

“Non è questo il modo in cui voglio che mi ricordi la gente di Spalato”.

E’ probabilmente il pensiero che gli passa per la testa poco prima di ricevere palla a più di trenta metri dalla porta avversaria, prima di saltare come birilli quattro giocatori avversari e prima di superare con un dolce pallonetto il portiere avversario in uscita.

E’ il gol del pareggio.

E’ il gol che riconcilia Gazdic con il suo popolo.

E’ il gol che ricorda a tutti chi è Nikola Gazdic.

Ora il pubblico è tutto per lui, grida il suo nome, lo incita a non fermarsi … anche quando il suo corpo ne avrebbe un disperato bisogno.

Non manca molto alla fine quando Gazdic ha un’altra delle sue improvvise e incontenibili accelerazioni.

Salta due avversari con estrema facilità e quando entra in area e sta per calciare viene steso dai difensori del Gradjanski, perfettamente consapevoli che da quella distanza un suo tiro sarebbe stato una sentenza.

E’ calcio di rigore.

Non è lui a mettere il pallone sul dischetto ma il suo compagno di squadra Franz Mantler che fa appieno il suo dovere mandando il pallone alle spalle di Dragutin Vrduka, il portiere avversario.

Il risultato non cambierà più.

Al termine del match tutti i tifosi sono sul terreno di gioco.

Nikola Gazdic viene sollevato e portato in trionfo da spettatori e compagni.

Non può esistere una rivincita più dolce.

Quando Nikola rientra negli spogliatoi è stremato.

Lo sforzo, nelle sue condizioni, è stato enorme.

Inizia a tossire e poi a sputare sangue.

I suoi compagni, spaventati, arrivano in suo soccorso.

“Non è niente ragazzi, mi è già capitato altre volte. Va tutto bene” li tranquillizza Gazdic.

No, non va tutto bene.

La malattia è già irreversibile.

Nikola Gazdic non giocherà mai più a calcio e se ne andrà da questa terra l’anno successivo.

Probabilmente sereno perché nell’ultima partita della sua vita è riuscito a fare come gli “Hajduks” che combattevano contro l’Impero Ottomano gli avevano insegnato: fare giustizia.

… in questo caso la sua …