“Dire che non è iniziata come speravo mi sembra quasi banale.

Fin dal primo giorno.

L’Arsenal, la mia nuova squadra, non era riuscita a trovare un accordo sulla cifra del mio trasferimento dallo Stoke City, la squadra dove sono cresciuto e dove ho giocato fino alla stagione scorsa.

E quando due club non si accordano la decisione è rimessa ad un tribunale.

250 mila sterline era il prezzo offerto dall’Arsenal.

600 mila quello richiesto dallo Stoke.

Di solito questi tribunali tendono a moderare i prezzi e a parteggiare per la squadra che compra.

Non stavolta.

500 mila sterline fu il prezzo fissato dal tribunale.

Le facce dei dirigenti dell’Arsenal quel giorno dicevano tutto.

Dire che furono “freddi” nei miei confronti è un eufemismo.

500 mila sterline per un giovane attaccante che solo da due stagioni stava segnando regolarmente in First Division erano effettivamente un sacco di soldi.

Nonostante questo non mi sentivo certo colpevole !

E poi ero convinto che una volta entrato in campo con i miei nuovi compagni avrei fatto ricredere tutti.

Se ero stato capace di segnare trentaquattro reti in due stagioni con una piccola squadra come lo Stoke che ogni stagione flirtava con la retrocessione di sicuro con una potenza come i “Gunners” sarebbe stato tutto più facile.

… quanto mi sbagliavo.

Ci ho messo poco a capire che non sarebbe stato facile inserirmi in squadra.

Per cominciare avevo praticamente preso il posto in squadra che per tante stagioni era stato di Alan Sunderland, uno dei “vecchi” della squadra e uno dei leader … in campo e al pub.

Ma di problemi ce n’era uno assai più importante.

Allo Stoke io ero il punto di riferimento della squadra in attacco.

Il nostro gioco era basato sul lavoro degli esterni, terzini o ali che fossero, che dovevano arrivare il più spesso possibile sulla linea di fondo e mettere in mezzo quei cross che per me sono come il pane.

All’Arsenal invece è tutto diverso.

Una serie intricata di passaggi corti, quasi sempre rasoterra cercando di entrare per vie centrali con scambi stretti.

L’unico che saprebbe crossare davvero è Graham Rix che ha un sinistro incredibile.

Temo però che mi veda come il fumo negli occhi.

Quando riceve palla raramente va sull’esterno per crossare ma rientra quasi sempre verso il centro cercando lo scambio con Tony Woodcock, il mio partner in attacco, o cercando il passaggio filtrante.

Io non ho la qualità sufficiente per questo tipo di gioco.

L’anno scorso alla prima di campionato con lo Stoke giocammo proprio qui ad Highbury.

Vincemmo noi uno a zero e segnai io il gol della vittoria.

Quel giorno né David O’Leary né Willie Young, i due difensori centrali dell’Arsenal, riuscirono a contenermi.

Credevo che Terry Neill e Don Howe, il manager e il coach dell’Arsenal sapessero come utilizzarmi. In fondo sono loro che mi hanno voluto all’Arsenal.

Alla prima di campionato è arrivata una sconfitta.

Proprio contro la mia ex-squadra, lo Stoke City.

Il martedì seguente ad Highbury è arrivato il Norwich.

Il mio esordio davanti ai miei nuovi tifosi.

Volevo spaccare il mondo.

E ce l’avevo anche fatta, almeno così credevo.

Eravamo sull’uno a uno e ormai mancavano pochi minuti alla fine quando John Hollins, il nostro esperto terzino destro, si è inserito sulla fascia. Ricevuta palla da Talbot non ha neanche guardato in mezzo ma a messo in mezzo di prima intenzione un pallone.

La parabola, alta ma sufficientemente tesa, è arrivata proprio sul secondo palo.

Il mio “territorio di caccia” preferito.

Sono saltato mezzo metro più alto del mio avversario diretto, colpendo la palla con potenza, proprio al centro della fronte.

Vedo il pallone gonfiare la rete.

Esplodo di gioia.

E’ il gol della vittoria, al mio esordio ad Highbury e proprio sotto la North Bank.

La felicità ha il sapore dell’urlo di gioia dei 23 mila di Highbury.

Una frazione di secondo dopo mi sembra di sentire un fischio.

Sono quasi certo di essermi sbagliato.

In quel frastuono chissà cosa ho sentito.

Poi mi giro per ricevere l’abbraccio dei miei compagni.

Sono tutti fermi e stanno guardando l’arbitro che con il dito indica la posizione dove mi trovavo quando ho colpito il pallone.

Non riesco a crederci.

Ma cos’ha fischiato ?

Non c’è un solo giocatore del Norwich che si sia lamentato di qualcosa.

“Chapman hai spinto”.

Tre parole, le uniche che l’arbitro, il Signor Burden si degna di dirmi.

Ad Highbury scende un silenzio irreale rotto solo dalle grida di gioia dei duecento o poco più tifosi del Norwich.

Finisce uno a uno e io non posso fare a meno di pensare che da quando sono arrivato non c’è nulla, ma davvero nulla, che sia andato per il verso giusto”.

Lee Chapman rimarrà una stagione e mezzo ai Gunners e la fortuna continuerà a non arridergli.

Dopo solo otto partite di campionato Terry Neill deciderà di mettere da parte il suo acquisto più costoso piazzandolo nella squadra riserve (dove segnerà gol a caterve) e considerandolo solo raramente e in caso di infortunio di qualche titolare.

Sarà di gran lunga il periodo peggiore della sua carriera.

Dopo un breve periodo al Sunderland nell’estate del 1984 arriva la svolta nella carriera dell’aitante “target man” nato a Lincoln nel dicembre del 1959.

A volerlo nel suo neo promosso Sheffield Wednesday è Howard Wilkinson.

Sarà lui l’uomo che saprà trarre il meglio dalle qualità di Chapman.

Per cominciare lo posiziona al centro dell’attacco e ne fa il riferimento assoluto della squadra.

L’ala sinistra Brian Marwood e il terzino destro Mel Sterland (terzino in una difesa a cinque, assoluta novità per il calcio britannico dell’epoca) hanno il compito di bombardare l’area avversaria di cross mentre il suo partner d’attacco, il veloce e scaltro Imre Varadi, deve essenzialmente lanciarsi sulle sponde aeree di Chapman.

Quello che nelle previsioni dovrebbe essere un campionato di sofferenza per mantenere la categoria si trasforma invece in una stagione eccellente e conclusa con un brillante ottavo posto finale e con preziosi “scalpi” come quelli di Nottingham Forest, Totthenam e addirittura di Liverpool e Manchester United ad Anfield e all’Old Trafford.

Per Chapman però la più grande soddisfazione personale arriva il 25 novembre del 1984. Ad Hillsborough arriva l’Arsenal, la squadra che lo aveva “sedotto e abbandonato” meno di un anno prima.

L’incontro è trasmesso in diretta in Inghilterra.

Finirà così.

A metà del primo tempo arriva per Chapman la più dolce delle rivincite.

C’è un cross dalla trequarti indirizzato verso il secondo palo. La palla sembra obiettivamente un po’ troppo lunga ma Lee Chapman si lancia in tuffo di testa.

Pat Jennings, il portiere dei Gunners, riesce solo a sfiorare il pallone che finisce in fondo alla rete.

Lo Sheffield vincerà questo match per due reti ad una e la bravura di Chapman nel gioco aereo sarà un tormento per la difesa dell’Arsenal per tutti i novanta minuti.

Dopo quattro eccellenti stagioni con gli “Owls” (le civette) per Chapman è arrivato il momento di cambiare aria.

Se ne va con uno score di tutto rispetto.

79 reti in 186 incontri.

Almeno metà dei club della First Division inglese sono pronti ad offrirgli un contratto ma Lee Chapman ha deciso di tentare un’esperienza all’estero dove però, anche per colpa dell’embargo post-Heysel del calcio inglese, non è esattamente un nome conosciutissimo.

L’offerta più importante arriva dal Niort, squadra francese appena retrocessa nella serie cadetta che punta a risalire immediatamente.

La serie di promesse economiche non mantenute e la scarsa qualità della squadra convincono ben presto il biondo attaccante a tornare in Inghilterra.

Per lui si scatena un’autentica guerra tra il magnate dell’editoria Robert Maxwell, presidente e sponsor del Derby County e Brian Clough, manager del Nottingham Forest che già da un paio di stagioni sta inseguendo Chapman.

L’offerta economica di Maxwell è decisamente allettante e di gran lunga superiore a quella offerta dal Nottingham ma Lee Chapman ha deciso: vuole giocare con il Forest non solo perché la squadra ha sicuramente più ambizioni e qualità dei “Rams” ma soprattutto perché desidera essere allenato dal grande Brian Clough, indiscutibilmente il miglior manager dell’epoca.

Nell’ottobre del 1988 Chapman diventerà un calciatore del Nottingham Forest e la sua prima stagione con gli uomini di Brian Clough sarà memorabile.

Due trofei conquistati (Coppa di Lega e Full Members Cup, quest’ultima con una sua doppietta contro l’Everton a Wembley) e un prestigioso terzo posto in campionato alle spalle di Arsenal e Liverpool.

A metà della stagione successiva però accade qualcosa di decisamente strano e per tutti i tifosi del Forest ancora oggi inspiegabile.

Con la squadra perfettamente in lotta sui tre fronti Lee Chapman viene ceduto al Leeds United, che in quel momento milita nella serie cadetta.

Allenatore di quel Leeds è però Howard Wilkinson che dopo aver strappato Gordon Strachan al Manchester United sta piano piano costruendo una squadra non solo di risalire finalmente in First Division ma di dire la sua anche nell’elite del calcio inglese.

Nel gennaio del 1989 Chapman firma per il Leeds.

Sarà la decisione più felice della sua carriera.

Suo sarà il gol che sancirà la promozione a Bournemouth all’ultima di campionato, trentuno saranno le reti complessive nella prima stagione in First Division (nessuno farà meglio di lui al termine della stagione 1990-1991) mentre nella stagione successiva arriverà il coronamento alla carriera: il trionfo dei “Whites” in campionato dove Chapman sarà assoluto protagonista insieme a calciatori del valore di Gordon Strachan, Gary Mc Allister, Gary Speed, David Batty e un “matto” francese che risponde al nome di Eric Cantona.

Stagione raccontata in questo libro http://www.urbone.eu/obchod/leeds-campione

Nonostante le diciotto reti messe a segno nella stagione 1992-1993 il Leeds decide di prescindere da Chapman che dopo un brevissimo periodo al Portsmouth nella serie cadetta ritorna in First Division nelle file del West Ham.

La prima stagione sarà tutto sommato discreta anche se gli acciacchi, e soprattutto le primavere (ormai 35) iniziano ad incidere sulle prestazione del possente numero nove.

Chiuderà la sua carriera in Terza Divisione nello Swansea nel maggio del 1996 segnando comunque quattro reti nelle ultime sette partite di campionato.

Chiuderà la carriera con una statistica di tutto rispetto: 256 reti in 692 partite e con la soddisfazione di aver giocato sia nella Nazionale Under-21 inglese che in quella “B” anche se è mancata quella che sarebbe stata la ciliegina sulla torta ovvero una partita con la Nazionale inglese, coronamento meritato alla carriera di questo centravanti “vecchio stile”, magari non certo un fenomeno tecnicamente ma dalla fisicità, dalla potenza e dal coraggio davvero invidiabili.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Lee Chapman era il classico “target-man” imprescindibile per il calcio britannico del periodo.

Non solo sapeva giocare spalle alle porta, fare sponde aeree e aprire varchi con la sua fisicità per compagni di reparto più rapidi e dotati tecnicamente.

Lee Chapman faceva gol, tanti gol.

Di testa  soprattutto ma anche grazie ad un eccellente senso della posizione in area di rigore.

Eredità probabilmente del padre Roy anche lui attaccante e goleador di razza nelle serie minori inglesi alla fine degli anni ’50-inizio anni ’60. Anche lui, come il figlio Lee, segnò oltre 200 reti nella sua carriera.

La moglie di Lee Chapman è la famosa attrice inglese Lesley Ash, giovanissima protagonista femminile di “Quadrophenia”, film di culto con la colonna sonora degli Who.

Chapman e Lesley sono insieme da 35 anni … e pare Chapman abbia “soffiato” l’avvenente attrice a Rowan Atkinson, il popolarissimo “Mr. Bean” dello schermo.

Nell’estate del 1982 dopo le sue brillanti stagioni allo Stoke City per Chapman si scatena l’interesse di diverse squadre di prima fascia della First Division.

Oltre ai Gunners londinesi ci fu anche il Manchester United di Ron Atkinson in corsa per il suo cartellino e nonostante il padre di Lee fece di tutto per convincere il figlio a trasferirsi all’Old Trafford (“hanno due ali pure e ti faranno molti più cross che quelli dell’Arsenal”) Chapman decise di accettare l’offerta dei biancorossi londinesi … sprecando di fatto quasi due anni di carriera.

E’ il 2 febbraio del 1991.

Il Leeds, alla sua prima stagione in First Division, affronta al White Hart Lane di Londra il Totthenam Hotspurs.

Sono passati pochi minuti dall’inizio del gioco quando su un pallone a mezza altezza vicino alla linea laterale Lee Chapman si abbassa per colpire di testa.

Steve Sedgley, il difensore degli Spurs e suo avversario diretto opta invece per cercare di rinviare il pallone di piede. “Chappy” anticipa di una frazione di secondo l’avversario che invece del pallone lo colpisce in pieno volto.

La botta è talmente violenta che Chapman perde immediatamente i sensi cadendo a peso morto sulla pista in terra rossa che costeggia la linea laterale.

Chapman è esanime a faccia in giù e quando i primi soccorritori lo sollevano si trovano di fronte ad una scena degna di un film di Stephen King: il volto di Chapman è una maschera di sangue e a complicare le cose le ferite sul suo volto sono piene di frammenti del terriccio rosso della pista.

Chapman viene ricoverato in ospedale dove subirà diversi interventi per saturare e ripulire le ferite. Ci vorranno quasi 100 punti di sutura.

Per il Leeds che sta viaggiando nelle primissime posizione della classifica è una brutta tegola. Ad attendere i “Whites” nel week end successivo c’è l’andata della semifinale di Coppa di Lega contro il Manchester United.

Il 10 febbraio quando lo speaker dell’Old Trafford leggerà le formazioni non saranno pochi quelli sbigottiti nel sentire “Number 9 Lee Chapman” … dimesso dall’ospedale 36 ore prima.

E’ passato quasi un anno da quel giorno.

E’ il 15 gennaio del 1992 e il Leeds nel terzo turno di FA CUP è stato sorteggiato contro il Manchester United, squadra che la settimana successiva dovrà affrontare anche nei quarti di finale di Coppa di Lega e con la quale si sta contendendo il titolo di campione d’Inghilterra.

E’ un monologo del Leeds e Chapman è forse nel periodo migliore di tutta la sua carriera. Nelle ultime due partite di campionato ha segnato cinque reti, due al West Ham e una tripletta contro una delle sue ex-squadre, lo Sheffield Wednesday.

Pallister e Bruce, la fortissima coppia di difensori centrali dello United non riescono a contenerlo. Solo che la palla non vuole saperne di entrare.

E’ anzi il Manchester United che con il più classico dei contropiedi si porta in vantaggio con Mark Hughes. Nel secondo tempo è un assedio.

Salvataggi sulla linea, miracoli in serie di Peter Schmeichel e anche qualche clamoroso errore sottoporta di Chapman e compagni.

A metà della ripresa però il pareggio sembra cosa fatta.

Gary Speed, il compianto centrocampista gallese, mette in mezzo un pallone che coglie di sorpresa la retroguardia del Manchester United.

Lee Chapman sale in cielo e per lui pare una formalità schiacciare il pallone in fondo alla rete.

Mentre è al massimo dell’elevazione però Gary Pallister, in un disperato tentativo di intervenire, sbilancia completamente il numero 9 dei “Whites” che cade pesantemente sul terreno.

La palla finisce di poco fuori ma il rigore appare sacrosanto.

Ma invece del fischio del rigore arrivano le urla di dolore di Lee Chapman.

Il goleador del Leeds si è fratturato un polso.

Il pubblico gli tributa un’ovazione ma sa in cuor suo che questo infortunio potrebbe costare la conquista del titolo.

Wilkinson correrà ai ripari acquistando un turbolento ma talentuoso attaccante francese di nome Eric Cantona che sostituirà degnamente Chapman … il quale tornerà in campo quarantacinque giorni dopo segnano subito una rete nella vittoria con il Luton (l’altra sarà proprio di Cantona).

Il Leeds United e Lee Chapman diventeranno campioni d’Inghilterra.