Quando si pensa ad un giocatore “romantico” praticamente tutti in Argentina pensano ad Oscar “El Negro” Ortiz.

Quanti calciatori conoscete che dichiarano “si, ho fatto il calciatore professionista ma fosse stato per me sarei rimasto nel mio Barrio a Junin a giocare con i miei amici” ? Proprio così ! Chi voleva fortissimamente che il piccolo Ortiz facesse il calciatore era sua madre e lo desiderava a tal punto che quando vennero a cercarlo i dirigenti del San Lorenzo disse al figlio “Ora vai a fare il calciatore e non tornare a casa per nessun motivo al mondo !”

Così Oscar iniziò a tirar calci nelle giovanili del San Lorenzo e nel 1971 arriva il suo esordio in prima squadra, in un match contro l’Estudiantes. Fu un incontro “aburrido” come dicono da quelle parti quando il match non tiene fede alle aspettative. Uno 0 a 0 privo di emozioni. Le uniche le provocò il piccolo mancino entrato nella ripresa che con un paio di serpentine e di crosses dalla linea di fondo, biglietto da visita di quelle che saranno in seguito le principali caratteristiche del ragazzetto di Chachabuco.

Nel San Lorenzo arriva presto un posto da titolare e per quasi 5 stagioni Ortiz diventa una delle “gioie” dei “Cuervos” facendo letteralmente impazzire tifosi e soprattutto avversari con i suoi dribbling ubriacanti e i suoi millimetrici passaggi ai compagni. Già allora Ortiz giocava larghissimo sulla fascia, in uno dei ruoli più affascinanti e, ahimè, dimenticati del calcio; quello dell’ala il cui compito principale era allargare le maglie della difesa avversaria, saltare il diretto avversario e mettere dei cross per gli attaccanti o il passaggio arretrato per il centrocampista “a rimorchio”. E’ una statistica pressoché accertata che 40 dei 60 gol segnati dal bomber Hector Scotta nel San Lorenzo sono stati assist di Ortiz !

La sua capacità di correre palla al piede era straordinaria. Accarezzava il pallone come pochi hanno saputo fare nella storia del calcio.

Nel 1976, dopo 128 partite e 20 goals, Oscar lascia il San Lorenzo. In bacheca per i Cuervos ci sono il Campionato Metropolitano del 1972, e due campionati nazionali, quello del 1972 (che il San Lorenzo terminò imbattuto !) e quello del 1974. Per lui c’è un grande Club brasiliano che fa carte false per i suoi servigi; Il Gremio dove però Ortiz gioca solo 19 partite, senza segnare un solo gol e soprattutto senza entusiasmare. Ma le sue qualità sono fuori discussione e il portentoso River Plate (a quell’epoca uno dei migliori team del mondo) lo riporta in Argentina e qui Oscar, messo nella condizione di esprimere liberamente il suo gioco attorniato da grandissimi campioni quali Passarella, Alonso, Luque o Gallego, arriva a vette sublimi. Il Monumental è incantato dalle sue prodezze e Cesar Menotti si rende ben presto conto che la Nazionale Argentina che sta preparando i mondiali del 1978 non può prescindere da un giocatore del suo calibro. Ortiz diventa titolare praticamente inamovibile della Nazionale Argentina e giocherà da titolare la finalissima vinta contro l’Olanda. Rimane al River Plate per altre 3 stagioni e alla fine della sua carriera con i Millionarios ci sono altri 3 titoli nazionali conquistati. Nel 1981 viene venduto all’Huracan dove gioca una sola stagione prima di trasferirsi all’Independiente dove, nella sua ultima stagione da professionista, riesce a vincere un altro trofeo, il Metropolitano nel 1983. A neppure 30 anni Ortiz decide di ritirarsi, contrariando non poco la madre che insiste perché il figlio rimanga nel calcio professionistico.

Ma stavolta per “el Negro” non ci sono discussioni. Il calcio non lo diverte più. “Il calcio è ormai business. Si comprano e vendono giocatori come merce. La paura di perdere si è impadronita del gioco e gente come me, che vive della giocata spettacolare, che cerca il “bello” non ha più spazio in un calcio sempre più fisico.”

Occorre chiarire che in Argentina ancora oggi quando si parla di grandi ali sinistre ci sono due nomi su tutti: El negro Ortiz e la Bruja Veron, padre del famoso Sebastian e anche lui gloria dell’Estudiantes degli anni ’60.

Ortiz crea una sua scuola calcio negli anni ’90, dove insegna a giocare “alla pelota” a bambini tra i 5 e i 12 anni (“perché è in quel periodo che si può lavorare sulla testa prima ancora che sui fondamentali”). Non guarda più il calcio, non lo ha mai amato in realtà. “Oggi si gioca tutti in 30 metri. In realtà per giocatori tecnici e capaci di saltare l’uomo sarebbe ancora più facile di una volta perché saltato un avversario sei praticamente davanti al portiere. Una volta affrontavi il centrocampista e poi dovevi saltare il terzino e sbrigarti a crossare o tirare prima che ti arrivasse addosso un difensore centrale !”

E chiude con la forse più emblematica di tutte “Ai miei figli dico sempre che non ha alcun senso avere come idolo un calciatore. Borges è uno che merita di essere ammirato, non un ragazzotto che in mutande corre dietro ad un pallone”.