E’ il 3 giugno 1978.

Allo stadio “José María Minella” di Mar del Plata (inaugurato il giorno prima dagli Azzurri vittoriosi contro la Francia) va in scena l’incontro tra Brasile e Svezia.

I favori del pronostico sono tutti per la nazionale “verdeoro” di Claudio Coutinho che arriva al Mondiale galvanizzata dai recenti risultati e soprattutto dall’aver finalmente trovato importanti ricambi ad una Nazionale che ai Mondiali precedenti, quelli di Germania di quattro anni prima, non era andata aldilà di un quarto posto finale.

Ci sono giovani di assoluto valore come i difensori Edinho e Amaral, il centrocampista Cerezo e soprattutto c’è il giovane grande nuovo talento del calcio brasiliano, Arthur Antunes Coimbra, detto Zico.

In attacco a contendersi la maglia numero “9” ci sono due giovani attaccanti che in Brasile segnano caterve di gol.

Uno gioca nel Vasco de Gama e si chiama Carlos Roberto de Oliveira ma per tutti è Roberto Dinamite mentre l’altro è l’idolo della tifoseria dell’Atletico Mineiro da ormai da anni è ai vertici del calcio brasiliano.

Il suo nome è Josè Reinaldo de Lima, per tutti semplicemente Reinaldo.

In vista del primo incontro di qualificazione è proprio lui a spuntarla.

Nel Campionato Nazionale brasiliano appena concluso ha vinto la classifica dei marcatori con 28 reti. Dietro di lui, con dieci reti in meno, è arrivato Serginho Chulapa che sarà poi titolare nella spedizione brasiliana in Spagna di quattro anni dopo.

Reinaldo però ha un problema e non certo di poco conto; è inviso alla spietata dittatura militare che sta soffocando il Brasile da ormai quattordici lunghi anni.

Ha solo ventuno anni ma il suo rifiuto ai sistemi violenti e coercitivi della Giunta Militare instauratisi nel Paese è evidente e conclamato.

Oltre alle prese di posizione pubbliche, alle interviste dove rivendica il diritto del popolo brasiliano di “scegliere” da chi venire governati c’è un gesto ormai diventato un classico ad ognuno dei tanti gol che Reinaldo realizza: è il saluto con il pugno destro alzato e l’altro braccio dietro la schiena.

Esattamente come avevamo fatto dieci anni prima Tommy Smith e John Carlos, i due velocisti americani sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico per rivendicare i diritti civili delle persone di colore negli Stati Uniti d’America in un gesto di protesta clamoroso quanto importante e coraggioso.

La spedizione brasiliana in quel Mondiale è organizzata, gestita, controllata e diretta dalla Giunta militare che ha piazzato nei ruoli chiave i suoi uomini.

Perfino lo stesso Coutinho, allenatore della squadra, è un militare, per la precisione Capitano di Artiglieria.

Così come sono militari il Colonnello André Richer, capo delegazione e addirittura il Presidente della CBD (Federazione Calcistica del Brasile) Heleno Nunes, in passato un ammiraglio della Marina.

A Reinaldo vengono lanciati ripetuti messaggi.

“Pensa a giocare e se fai gol, che poi è il tuo mestiere, cerca di esultare come tutti gli altri”.

La partita con la Svezia non è affatto la passeggiata che si attendono in molti.

Il Brasile spreca almeno tre grosse occasioni (una anche con Reinaldo che tira addosso ad Hellstrom, il portiere svedese, uscitogli alla disperata sui piedi) e quando Sjoberg, il possente centravanti svedese, mette in rete il gol dell’uno a zero per il Brasile le cose si complicano ulteriormente.

Siamo già nel minuto di recupero del primo tempo quando su un cross dalla destra di Toninho Cerezo è proprio Reinaldo a lanciarsi sulla palla, anticipando un indeciso difensore svedese e toccando il pallone un secondo prima dell’intervento del numero uno svedese.

E’ il gol dell’uno a uno, in un momento cruciale della partita.

Reinaldo esulta insieme ai suoi compagni.

La tentazione è troppo forte.

Braccio sinistro dietro la schiena e il destro che si alza verso il cielo con il pugno chiuso.

Come Tommy Smith e John Carlos.

Alla faccia delle subdole minacce ricevute e ai “consigli” dello staff di quella Nazionale.

In quel Mondiale Reinaldo giocherà ancora una partita, quella successiva con la Spagna prima di venire relegato in panchina e di lasciare il posto Roberto Dinamite.

Motivi tecnici o “politici” ?

Qui la storia lascia il posto alle supposizioni.

Di fatto in quel Brasile che faticava a trovare il gol Reinaldo tornerà in campo solo all’inizio del secondo tempo nella “finalina” del terzo e quarto posto contro gli Azzurri … di fatto contribuendo alla rimonta del Brasile che era andato negli spogliatoi in svantaggio per una rete a zero.

Ma se quanto accaduto ai Mondiali argentini lasciò perplessi diversi osservatori il resto della carriera di Reinaldo è ancora più ingiusto e dibattuto.

Per cominciare al suo rientro in Patria inizia da parte dei media legati alla dittatura una campagna di stampa ignobile nei confronti di Reinaldo.

“E’ un alcolizzato, si droga ed è anche omosessuale. Il classico comunista”.

Poco importa se è tutto tremendamente falso.

Reinaldo non fa uso di droghe ed è eterosessuale anche se ha diversi amici nella comunità gay e per i quali si batte con veemenza per tutelarne i diritti.

“Se esco con le ragazze mi danno del “bohémien”, se non esco dicono che sono gay. Qualcuno sa dirmi cosa devo fare?” è l’ironico commento del numero “9” del Brasile in quel periodo.

In quanto al bere è sufficiente una frase di Socrate, il compianto “Dottore” del calcio brasiliano.

“Io bevo in una notte quello che Reinaldo beve in un anno” che per molti chiude definitivamente la questione.

Reinaldo torna a giocare e a segnare tanti gol con il suo Atletico Mineiro che conduce al trionfo in sei campionati regionali consecutivi (dal 1978 al 1983) e addirittura a sfiorare il titolo di Campiona brasiliano nel 1980, perso in finale in maniera rocambolesca (e alquanto ingiusta) nei confronti del Flamengo di Zico.

Si arriva così alle convocazioni per il Mondiale del 1982.

Telè Santana, l’allenatore del Brasile, è un noto conservatore e politicamente quanto più lontano dalle idee di Reinaldo. Già l’anno prima in un’intervista dichiara che “il posto di centravanti della Nazionale brasiliana in Spagna è ancora apertissimo. Ci sono Careca, Roberto Dinamite, Serginho e Baltazar a giocarselo fino alla fine”.

Il fatto di non inserire Reinaldo spiazza la maggior parte degli osservatori.

Sono diversi i giocatori che esprimono il proprio dissenso.

Uno fra questi è l’ala sinistra Eder, compagno di squadra di Reinaldo nell’Atletico Mineiro.

“Sicuramente tutti questi giocatori hanno delle qualità … ma Reinaldo e Reinaldo e nessuno è bravo quanto lui”.

Il pretesto per lasciar fuori Reinaldo dai ventidue che partiranno per il mondiale spagnolo è il solito: il centravanti dell’Atletico Mineiro è infortunato.

Per il Brasile la scelta di lasciar fuori il loro attaccante più forte da un Mondiale dove se qualcosa è mancato ad un Brasile fortissimo è stato proprio un numero “9” all’altezza è un dibattito ancora aperto.

Come ricorda l’amico Davide Tuniz, fondamentale nella stesura di questo pezzo grazie alla sua infinita conoscenza del calcio brasiliano, in Brasile equivale alla staffetta “Mazzola-Rivera” dei Mondiali messicani del ’70!

Sta di fatto che Reinaldo rimase a casa quando, a 25 anni, era nel periodo migliore della sua carriera.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Come detto nel 1980 l’Atletico Mineiro sfiorò la conquista del titolo Nazionale.

Quello che però accadde nella partita di ritorno della finale con il Flamengo resta ancora oggi uno degli scandali più clamorosi della storia del calcio brasiliano.

La direzione di gara dell’arbitro dell’incontro José de Assis Aragão fu qualcosa di vergognoso e sportivamente inaccettabile.

Dopo la vittoria all’andata per uno a zero (rete di Reinaldo) Flamengo e Atletico Mineiro a metà della ripresa sono sul due a due e il titolo per il “Galo” (soprannome del club di Belo Horizonte) è vicinissimo.

Lo sarebbe ancora di più se Paglia, numero “10” dell’Atletico Mineiro non venisse fermato dalla terna arbitrale mentre è lanciato da solo verso la porta di Raul, portiere del Flamengo … mentre è in gioco di almeno cinque metri!

La frustrazione dei bianconeri di Belo Horizonte è palpabile ma si manifesta solo con Reinaldo che disturba la battuta del calcio di punizione del Flamengo.

Una cosa banalissima e vista milioni di volte su un campo di calcio.

Non per il Signor  José de Assis Aragão che arriva di gran carriera sventolando un cartellino davanti al naso di Reinaldo.

Il cartellino, fra lo stupore generale, è rosso.

Nel finale di partita si scatenerà un’autentica bolgia nella quale il Flamengo segnerà il terzo gol e all’Atletico Mineiro l’ineffabile signor José de Assis Aragão riuscirà ad espellere altri due giocatori.

Finirà tre a due per il Flamengo che, grazie ad un cervellotico regolamento (i punti e la differenza reti nei due incontri di semifinale) metterà le mani sul titolo di Campione del Brasile.

Durante la sua carriera passata praticamente tutta nell’Atletico Mineiro furono diversi gli approcci di squadre del Vecchio Continente smaniose di inserire nel proprio team l’attaccante brasiliano.

Il più determinato di tutti fu probabilmente il Paris Saint Germain che stava iniziando in quegli anni la scalata ai vertici del calcio francese.

I dirigenti del Club si presentarono nella sede del “Galo” (il gallo, soprannome del Club di Belo Horizonte) con due valigie contenenti ciascuna un milione tondo tondo di dollari, uno per il Club e uno per il giocatore.

Elias Kalil, presidente dell’Atletico Mineiro, rifiutò l’offerta.

“Reinaldo appartiene a questo Club e a questa città. E io non ho nessuna intenzione di venire lapidato dai nostri tifosi” fu come chiuse la trattativa il massimo dirigente del “Galo”.

Durante una partita del campionato MIneiro contro il Mixto Esporte Clube Reinaldo fece un gol di una bellezza tale che Luis Carlos Beleza corse ad abbracciarlo.

Niente di strano … se non fosse che Beleza era un difensore della squadra avversaria rimasto semplicemente incantato dalla giocata di Reinaldo.

Non solo.

Il pubblico del Mixto applaudì con calore il gol di Reinaldo e il gesto del proprio giocatore!

Fu a fine carriera, interrotta bruscamente a trentuno anni dai ripetuti infortuni al ginocchio, che Reinaldo entrò nella spirale della dipendenza da cocaina.

Avendo saputo dei suoi problemi ed avendo sempre apprezzato le doti dell’attaccante brasiliano Johann Cruyff, all’epoca allenatore dell’Ajax, invitò Reinaldo in Olanda per uno stage tecnico.

Rimasero tutti così impressionati dalle qualità di Reinaldo che gli venne fatta l’offerta di giocare con il Telstar, squadra di Seconda Divisione olandese e club satellite dell’Ajax.

Giocò alcune eccellenti partite ma il freddo dell’inverno olandese e la “saudade” per la sua terra lo convinsero a rientrare in Patria dopo pochi mesi.

Come racconta lo stesso Reinaldo nella sua biografia “Punho cerrado: a Historia do Rei”, durante quel Mondiale del 1978 arrivò anche il più grande spavento della sua intera carriera.

Rientrato all’Hotel Benedetti con il resto della squadra dopo la partita con l’Italia Reinaldo trova una lettera senza mittente che arriva dal Venezuela.

All’interno ci sono delle rivelazioni tanto gravi quanto pericolose.

Ci sono affermazioni importantissime in merito al Piano Condòr messo in atto dagli Stati Uniti per combattere l’avanzata del comunismo in America Latina, ci sono rivelazioni sul piano messo in atto per uccidere il capo dell’opposizione cilena Orlando Letelier e altre che rivelano quanto non sia stato affatto un incidente quello che causò la morte dell’ex presidente brasiliano Juscelino Kubitscheck.

Reinaldo, terrorizzato dal contenuto della lettera, decide di non farne menzione a nessuno e di consegnarla nella mani dell’amico musicista Gonzaguiña, legato ai movimenti dell’estrema sinistra in Brasile.

Infine la dichiarazione rilasciata da Reinaldo nel marzo del 1978, poco prima delle convocazioni per il Mondiale d’Argentina, al quotidiano di opposizione “El Movimiento”

“E’ ora che la gente sia coinvolta nelle decisioni politiche. Il popolo ha la sua opinione e questa opinione deve essere considerata e rispettata. L’amnistia prima o poi deve essere concessa perché opporsi è un diritto e dalla opposizione possono venire nuove idee per intraprendere nuove strade”.

Reinaldo, la voce che la dittatura provò, senza riuscirci, a far tacere.

Nota: questo pezzo è stato scritto grazie all’indispensabile aiuto di Davide Tuniz, uno dei più grandi conoscitori della storia del calcio brasiliano e che ringrazio sentitamente.