“Ormai ci siamo davvero.

E’ più di una sensazione.

Lo si capisce dai discorsi delle persone nei bar, dalle facce degli studenti, dalle rughe un po’ più rilassate dei lavoratori.

Dopo quasi 20 anni di questa cieca, vergognosa e nefasta dittatura militare cominciamo tutti a respirare “democrazia”.

Da quando c’è Figueiredo qualcosa è cambiato.

Le sue concessioni, piccole ma significative alla Democrazia, ci hanno fatto capire che la strada ormai è aperta.

Ora però tutti dobbiamo fare un ultimo sforzo.

Il più grande.

Fare capire a questi signori che hanno riportato il Brasile, il mio adorato Paese, ai livelli di un Paese coloniale, economicamente distrutto e impoverito, che ora TUTTI qua in Brasile vogliamo poter decidere chi deve reggere le sorti del nostro Paese.

Noi, al Corinthians F.C., lo stiamo facendo.

A modo nostro.

Abbiamo iniziato lo scorso anno, l’anno maledetto della “tragedia del Sarria” quando la Nazionale del mio Paese perse in quello stadio una incredibile partita contro la Nazionale Italiana.

Che divenne, al posto nostro, campione del Mondo.

Ma nel 1982 qui al Corinthians abbiamo fatto semplicemente quello che vorremmo accadesse in tutto il Brasile e non solo in una squadra di calcio.

Che tutti quanti, dal primo all’ultimo, contassero allo stesso modo.

Per questo motivo al Corinthians ogni decisione è presa dando la possibilità a tutti di esprimere il proprio parere.

Tutti significa DAVVERO tutti.

Dai magazzinieri agli addetti al campo, dai preparatori, ai massaggiatori fino ai dirigenti.

E ovviamente ai calciatori.

Ogni voto, come nelle democrazie “vere” vale per quello che è; un voto.

Così decidiamo gli orari degli allenamenti e delle trasferte, la formazione o la tattica di gioco, perfino chi dobbiamo cedere o acquistare.

Non abbiamo bisogno di un “capo”, di un allenatore … di un “dittatore”.

Ci siamo responsabilizzati e siamo cresciuti tutti, come uomini prima ancora che come calciatori.

Lo scorso anno, all’esordio di questo Rivoluzionario concetto, abbiamo vinto il Campionato Paulista.

In finale contro il San Paolo, che minacciava di vincere il Paulista per il terzo anno di fila.

E’ stato un anno fantastico.

Per i risultati sul campo, certo, ma anche e soprattutto per quello che abbiamo costruito fuori.

“Ser campeao e’ detalhe.”

In pratica … essere campioni è un dettaglio.

Spiegarlo a tifosi caldi o appassionati come quelli brasiliani non è esattamente facile!

Solo due anni fa, durante una stagione tribolata e difficile nel Brasileirao, ci hanno assediati, insultati e intimiditi.

Ci penso spesso.

E’ un peccato che tutta la passione e l’entusiasmo che mettiamo nel calcio non possa essere incanalata in qualcosa di più utile per l’umanità.

A me il calcio piace.

Ci so giocare anche se sono tutto fuorché un atleta!

Correre poi!

Non è certo il mio forte … diciamo che la penso come il grande Cesar Menotti, il Mister argentino che vinse i mondiali 5 anni fa “Da quando per giocare bene a calcio occorre correre?” disse.

Sono alto un metro e 92 centimetri.

Non arrivo a pesare 80 kg.

Porto un 38 di scarpe che contrasta enormemente con il mio fisico.

Ma questa è una fortuna.

Calcio con tutte le parti del piede con grande facilità.

Ho anche un tallone, quello destro, deformato.

Un osso sporgente e che non è esattamente dove dovrebbe essere.

E anche questa è una fortuna.

Nel colpo di tacco ho la mia arma migliore.

Posso colpire semplicemente più forte di tutti gli altri.

Sono Laureato in Medicina.

Mio padre mi ha sempre detto di trovarmi un lavoro degno.

Solo lui sa i sacrifici che ha fatto per farmi studiare.

La mia famiglia è di origini umili.

Sappiamo cos’è la povertà e mio padre sa bene cosa è il duro lavoro.

Mi ha insegnato il valore dell’educazione, l’importanza della cultura.

Ero poco più di un bambino, ma ricordo bene nel 1964, quando iniziò la dittatura militare, mio padre che per la paura di essere imprigionato fu costretto a bruciare tutti i libri della sua piccola biblioteca.

Allora, come oggi, qui in Brasile essere colti e di sinistra era e rimane un peccato mortale.

Mio padre non ha mai mollato.

Nonostante vi fossero altri cinque figli da sfamare.

E’ riuscito a farmi andare perfino all’Università e sono diventato dottore.

Quando smetterò di giocare, e non sarà fra molto, è quello che andrò a fare.

Non passerà molto tempo.

Non mi ci vedo a giocare fino a 40 anni girovagando magari per le serie minori.

Ve l’ho detto … non sono un atleta, non amo la preparazione fisica, le ripetute, le sedute in palestra.

Amo molto di più le mie sigarette e la mia birra.

Ah la birra!

L’ho sempre definita “il mio migliore psicologo”!

Ma torniamo a noi.

Domani giocheremo la finale di ritorno del Campionato Paulista.

Ancora contro il San Paolo.

All’andata, 2 giorni fa, ovviamente al Morumbi di San Paolo, abbiamo vinto uno a zero.

Il gol l’ho segnato io ma è un dettaglio.

Abbiamo giocato da squadra, alla nostra maniera però.

Con tanta pazienza, con il nostro ritmo blando che all’inizio quasi infastidiva i nostri tifosi.

Il San Paolo è una grande squadra, ma noi abbiamo qualcosa in più.

Noi siamo un gruppo vero, siamo uniti e coesi.

Insomma … siamo una Democrazia.

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Il Corinthians vincerà il suo secondo titolo paulista di fila.

E Socrates sarà ancora protagonista della finale, segnando il gol dei bianchi nell’1 a 1 finale.

Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira è stato uno dei più grandi calciatori brasiliani di tutti i tempi e sicuramente il più grande tra i tanti che hanno vestito la maglia bianca del “Timao”, lo Sport Club Corinthians. Giocatore atipico in tutto. Nel fisico, nelle movenze, nel modo di giocare, nel suo approccio al calcio. L’arte, la filosofia, la politica, la medicina lo hanno sempre attratto di più. Arrivò in Italia nell’estate del 1984.

Deluso dai risultati delle elezioni municipali di San Paolo disse che “sarebbe stato pronto a lasciare il Brasile”.

E così fece. Era al tempo l’oggetto del desiderio di ogni grande Club europeo. Solo un anno prima era stato votato “Miglior calciatore sudamericano”.  Scelse Firenze, non solo la Fiorentina. “Vado in Italia per poter leggere Antonio Gramsci nella sua lingua originale” fu una delle frasi che gli vennero attribuite all’epoca. Firenze. Città d’arte, che amò appassionatamente fin dal primo momento. I fiorentini che conobbero l’uomo Socrates ne rimasero incantanti, dalla sua disponibilità, dalla sua semplicità, dalla sua cultura e dalla sua intelligenza, che quando sono VERE vanno sempre di pari passo con un attributo fondamentale; l’umiltà. Non fu la stessa cosa per il Socrates calciatore. I ritmi del campionato italiano, il gioco ancora prettamente difensivo e molto organizzato cozzavano terribilmente con l’anarchia tattica, il calcio cerebrale e quasi “camminato” di Socrates. Una stagione mediocre per la squadra e per il “Dottore”.

9° posto per i “Viola” e 6 gol in 25 partite per il barbuto regista brasiliano. A fine stagione il rientro in Brasile, nel Flamengo. Ed è subito un’altra storia. Socrates vince con i rossoneri il campionato carioca e ai Mondiali del 1986 sarà ancora lui il capitano della Nazionale brasiliana, ancora una volta bella ma perdente. Lascerà il calcio un paio di stagioni dopo e la sua curiosità e la sua voglia di vivere lo porteranno a cimentarsi in svariati campi, nell’arte, nella scrittura, nella musica, anche qualche esperienza come allenatore. Fonderà una clinica, con buona parte dei soldi guadagnati come calciatore, preposta essenzialmente al recupero di calciatori con problemi fisici e non solo. Farà l’opinionista a tutto campo per la tv brasiliana. Onesto, diretto e coraggioso. Spesso e volentieri controcorrente. Ma il suo demone personale, quella passione per la birra sulla quale ha sempre scherzato e non ha mai nascosto, inizia a presentargli un conto salato. Fumare e bere birra. Lo ha sempre fatto e non ha mai smesso. I suoi ultimi “colpi di tacco” sono un Cineclub nel centro di Ribeirao nel 2006 da quasi 1000 posti. “Solo che qui non c’è una biglietteria. Non tutti hanno 60 Real per poter assistere ad un film. Per cui questo è uno spazio aperto a tutti, chi vuole al massimo lascia un’offerta.” racconterà il “Dottore” in merito a questa iniziativa. L’ultimo figlio, nato nel 2007 dalla terza moglie del “Magrao”, si chiama Fidel, in onore del leader Cubano, figura di riferimento e sempre ammirata dal “Dottore” Ci scherzava sopra con l’anziana madre che lo rimproverava di aver assegnato un nome di battesimo un po’ troppo pesante da portare al piccolo. “Mamma, pensa a quello che voi avete dato a me!” Una banalissima intossicazione alimentare se lo porterà via, a soli 57 anni, il 4 dicembre del 2011. Il fisico minato dagli eccessi di decenni, un fegato ormai in cirrosi. Ma andrà tutto esattamente come aveva sognato e desiderato lo stesso Socrates nel lontano 1983. “Voglio morire di domenica e nel giorno in cui il Corinthians tornerà ad essere campione”. Andrà esattamente così. Come nelle favole, nei fumetti o nei sogni. E il saluto a Socrates dei giocatori del Corinthians rimane una delle pagine più toccanti dell’intera storia di questo sport.

Alla fine ci rimane una unica grande consapevolezza; che Socrates, dottore e calciatore, opinionista e filosofo, bevitore e fumatore, politico e rivoluzionario era, soprattutto, un meraviglioso essere umano.

Infine un piccolo tributo al Socrates calciatore … in modo che NESSUNO pensi che Socrates sia “solo” quello visto qui da noi alla Fiorentina.

Tratto da http://www.urbone.eu/obchod/storie-maledette