Non era alto 6,2 piedi, era “solo” un metro e ottantacinque centimetri. Non aveva gli occhi blu, erano

marroni. Ai tifosi è concessa un’ampia licenza poetica, questo si sa. Di certo, come recitava il coro dei

supporters del Manchester United, “ti inseguiva per tutto il campo”.

Lo sapevano bene gli attaccanti avversari: il loro sabato pomeriggio non sarebbe stato facile con un numero

cinque in maglia rossa come lui alle calcagna. Già le maglie. Se a metà degli anni ’70 ci fossero stati i nomi

(meno male che non c’erano) la sua sarebbe stata una delle più gettonate. Due espulsioni nelle prime nove

partite giocate gli avevano attribuito la fama di giocatore duro e questo piaceva ai tifosi. La prima in

amichevole contro il Porto, la seconda contro il Newcastle dopo che un suo gol di testa, ovviamente, aveva

spianato la strada del successo.

Qualcuno lo definiva “sporco” ma lui ha sempre rifiutato questa etichetta. Quando arrivò, nel gennaio del

1973, le stelle George Best e Denis Law erano ormai ai titoli di coda nella loro avventura con i Red Devils. La

compagine scozzese tuttavia era ben nutrita: Buchan, Forsyth, Graham, Macari, Morgan, McDougall. Lo

stesso allenatore Tom Docherty era scozzese.

Era stato lui a volerlo fortemente, prelevandolo a suon di sterline dal Shrewsbury Town. A loro si aggiunse

McCalliog l’anno dopo. Non era un buon periodo quello per i Red Devils, che dopo avere rischiato la

retrocessione nel campionato 1972-73, la “centrarono” l’anno successivo. La difesa, con lui al centro,

rimaneva tuttavia una delle meno battute, tra le squadre di bassa classifica.

Docherty rimase alla guida della squadra e prontamente la riportò in prima divisione. Sempre con lui, il

numero cinque, al centro della difesa.

Ha giocato solo 15 partite con la nazionale scozzese, a causa di un grave infortunio dopo i mondiali del

1974, gli unici ai quali ha partecipato, giocando sempre da titolare. La difesa, con lui in campo, subì solo un

gol, contro la Jugoslavia. Ma ciò non bastò per passare al secondo turno. Contribuì in modo determinante

alla qualificazione a quei mondiali. Nella partita decisiva contro la Cecoslovacchia pareggiò il gol iniziale

degli ospiti. Un gol dei suoi, di testa da calcio d’angolo, saltando più alto del portiere con le braccia protese.

Poi Jordan, suo grande amico, segnò il 2-1 decisivo.

Nessuno però è profeta in patria, visto che al Celtic non si accorsero di lui e lo scartarono nelle giovanili.

Dopo l’infortunio, due brevi parentesi: una esotica a Miami e una con il Sunderland, prima di passare al

Coventry dove ebbe una seconda giovinezza. Dopo il primo anno, arrivato a metà campionato, con la

squadra in lotta per non retrocedere, nel 1978 contribuì al raggiungimento del settimo posto, uno dei

migliori piazzamenti di sempre per gli Sky Blues, ad un passo dalla qualificazione alla coppa UEFA.

Qui decise di stabilirsi una volta chiuso con il calcio. Viveva a Baginton, un villaggio di 800 anime, nel

distretto di Warwick nella contea di Coventry. Gestiva un pub, prima il “The Rising Sun” e poi il “The Old

Stag”. Era felice con la sua famiglia, ma il destino lo attendeva il 4 ottobre 1993, quando aveva solo 42 anni.

Un infarto, in auto, mentre tornava da una corsa, come faceva abitualmente per mantenersi in forma.

La sua figurina nella collezione Panini dei mondiali del 1974 è stata una di quelle che mi ha fatto

innamorare della nazionale scozzese. Era splendido con quel suo look anni ’70.

Si chiamava Jim

Big Jim Holton.