Salvador Ricardo Aparicio, l’allenatore dei pulcini del “Grandoli”, la squadra del quartiere dove abitava Leo, si sta preparando a mandare in campo i suoi giovanissimi calciatori quando si accorge che gli manca un effettivo per arrivare agli undici. A bordo campo vede Leo che sta palleggiando da solo mentre mamma e nonna sono in tribuna per assistere alla partita in cui avrebbe giocato anche Rodrigo, uno dei fratelli di Leo. Chiede il permesso alla madre di schierare Leo, che ha solo 4 anni e sarebbe il più piccolo in campo.

C’è ovviamente un po’ di indecisione da parte di “Puchi”, così veniva chiamata la mamma del piccolo Messi, ma l’allenatore non molla.

“Signora, facciamo così. Lo farò giocare proprio qui sulla fascia sotto la tribuna. Se dovessi andare in crisi lei sarà lì vicino a lui e potrà intervenire ogni volta che vuole”.

La madre di Messi a questo punto si convince.

Non ci sarà mai bisogno di lei in tutta la partita.
Leo Messi aveva già trovato il suo ambiente naturale: la “cancha”.

Leo non si perse una sola partita da allora in poi.

A quattro anni era già un talento assoluto. “Sapeva già palleggiare, dribblava i gli avversari e perfino i suoi fratelli non riuscivano a portargli via il pallone. Aveva un dono, ce ne accorgemmo tutti quanti”.

Sono parole di Jorge Messi, padre di Leo e che diventerà suo allenatore al Grandoli dopo un paio di anni.

… “se voi pensate che adesso giochino duro su di lui dovevate vedere le botte che gli davamo mio fratello ed io per fermarlo o rubargli il pallone !” ricorda divertito il fratello Matias.