The Special One nacque una sera di Marzo del 2004 grazie a un… errore. Quella sera si giocava la gara di ritorno tra Manchester e Porto: l’andata era terminata 2-1 per effetto della doppietta siglata da Benni McCarthy.

McCarty adesso dirà poco, ma dopo essersi messo in luce ai mondiali under 20 del 1997 (dove maramaldeggiò Adailton), il sudafricano classe 1977, che era già stato anche l’uomo del primo e storico gol mondiale per la nazionale di Mandela in quel di Francia, ai tempi aveva un certo appeal.

Era, insomma, un signor calciatore.

Ma non era neanche titolare fisso, in quel Porto. Non fu titolare, per dire, neanche nella finale della Coppa Uefa del 2003, quando il Porto, in una delle finali più vivaci e thrilling di quegli anni, ebbe la meglio sul Celtic di O’Neill.

Martin O’Neill.

Indicato, insieme a José Mourinho, come uno degli allenatori emergenti.

Quella sera andò bene all’uomo di Setubal, ma affrontare la corazzata Manchester dell’eterno Fergie era ben altro cosa, ben altro esame.

E lo stava perdendo alla grande quell’esame, Mou.

Quella sera del 9 Marzo ci fu una sola squadra in campo: i Red Devils. Niente di trascendentale, per carità, ma sempre meglio della solita tattica attendista di Mou, che evidentemente aveva preparato la partita puntando sul pareggio, sul primo non prenderle.

In quegli anni, i Reds, quando le partite erano troppo chiuse e troppo tattiche, avevano un fantastico grimaldello: Paul Scholes, centrocampista bravo a inserirsi come pochi.

S’inserì e prese il tempo a tutti, Scholes, che si faceva d’insulina prima della partita.

Colpo di testa di Scholes (imitato nel gesto da Ferguson in panca) su cross di O’Shea e 1-0. Manchester United virtualmente ai quarti di finale della Champions 2003-2004.

Scholes che si faceva d’insulina prima delle partite si materializzò nell’area piccola per arpionare un tiro di Giggs e girare in rete il 2-0 poco prima del riposo.

Cervelloticamente, il gol venne annullato per fuorigioco.

La ripresa seguì il canovaccio: Il Manchester a giocare e il Porto a subire, ad aspettare non si sa bene cosa, visto che il risultato avrebbe eliminato i lusitani. Giocò solo otto minuti anche un giovanissimo Cristiano Ronaldo, che venne ruvidamente scalciato da Pedro Emanuel.

Al posto del futuro CR7, Fergie mandò in campo Solskjaer, il suo talismano, l’uomo della Champions 1999.

Il veleno è nella cosa, si dice.

E così, mentre la partita s’avviava pigramente verso la fine e il Porto incontro all’eliminazione, ecco che gli Dei del caso (o del caos? Inquietante anagramma, a ben pensarci!) decisero di fare la loro mossa, di lanciare i dadi.

Venne fuori il numero 6.

In pieno recupero c’era da battere una punizione per il Porto da circa 25 m. Mourinho s’era già seduto in panca, furente perché, mentre lui aveva indicato in Ricardo Fernandes il battitore, il conciliabolo in campo s’era risolto in favore di McCarthy.

Non era affatto uno specialista, il sudafricano.

Con il senno di poi non si capisce la ragione del perché lasciarono l’ultimo tiro della partita a lui.

Benni calciò qualcosa a metà tra una botta e un tiro a giro: quel che ne venne fuori fu qualcosa di innocuo che però riuscì a mandare in confusione il portiere dei ragazzi di sir Alex.

Credo che in un primo momento il poverino, non ricordo il nome, non ha importanza, forse non ne ha mai avuta, volesse bloccare il tiro poi, forse non sentendosi sicuro della presa, optò per una respinta. L’indecisione comportò il peccato mortale per un portiere: la respinta nel campo, anziché di lato.

Su quella palla s’avventò, in una volée anche elegante su un campo bagnato, Costinha che realizzò la rete del pareggio. Il passepartout per i quarti.

Costinha aveva il 6 sulla casacca.

«I portoghesi hanno segnato col secondo tiro della loro partita. Peccato per quel 2-0 che ci ha portato via l’arbitro. Ma questo è il calcio. Cadere per risorgere» disse Ferguson, abbastanza sportivamente. Nei giorni precedenti, lui e José, furono meno gentlemen.

Ecco, senza quello scivolone forse non avremmo avuto alcun Special One.

Quella partita è stata per Mou ciò che fu la nebbia di Belgrado per Sacchi.

Un 9 Novembre per Sacchi, un 9 Marzo per Mou.

Certo, dopo, Mou ha mostrato la sua stoffa, gestendo campioni e budget importanti, riportando spesso vittorie, ma lasciando più cocci rotti che cristalleria a chi è venuto dopo di lui, perlomeno con l’eccezione di Carletto Ancelotti, che conquistò la Decima subito dopo tre infruttuosi attacchi madridisti di Mou alla Coppa più prestigiosa.

Carlo Ancelotti fu il primo allenatore italiano a sconfiggere Mou nella sua avventura italiana; la seconda sconfitta avvenne per mano dell’Atalanta di Del Neri, che prese il suo posto al Porto.

Nel corso degli anni José ha vinto con organici importanti, ma anche con intuizioni personali originali e, in parte, vincenti: come l’importanza data a Essien al Chelsea, come l’idea di Pepe a schermo davanti alla difesa per dar fastidio a Xavi e Iniesta in epici, ma solo per risse e schermaglie, clasici.

Come la scelta di far giocare insieme Pandev ed Eto’o all’Inter del Triplete.

Ci son state tanti scontri verbali con Guardiola e con il popolo del Barcellona, che ben conosce essendo stato assistente di Bobby Robson, preso perché parlava le lingue non perché ritenuto in grado di dar assistenza tecnica; ma certamente molto di tutto ciò non sarebbe successo senza la presa scivolosa del portiere di cui non ricordo il nome, forse non voglio ricordarlo.

Non avrei mai visto Mou far bagnare il campo negli scontri versus il Barcellona ai tempi del Chelsea, né il segno della manette; non avrei sentito chiamare prostituti i giornalisti, o dare del perdente a Ranieri.

Però forse solo come Herrera è riuscito a cambiare il ruolo dell’allenatore, non tanto a livello tecnico, quanto come elemento della società. Quel suo pretendere contratti faraonici era ed è un modo di dire alle società che lo ingaggiano pensaci bene prima di cacciarmi: è una assicurazione su siluramenti a cuor leggero. Altri hanno semplicemente seguito le sue orme.

Grazie a lui alcuni trainer di club importanti guadagnano almeno quanto le star delle stesse squadre.

Un cambiamento epocale.

E tutto per una presa imperfetta.

Il secondo regalo del Manchester. Se il Manchester lo lanciò, sia pure involontariamente, gli stessi Red Devils, in maniera ancora più casuale, gli evitarono una colossale figuraccia. Immaginate cosa sarebbe successo all’uomo di Setubal, allo Special One, se la sua ex squadra, il Chelsea che lo allontanò nel 2007-08, avesse vinto la Champions allenata dal carneade israeliano Grant. Arrivò a un rigore dalla vittoria, quel Chelsea, che però cedette la coppa al Manchester di Ferguson e di Cristiano Ronaldo, il quale s’alzò, con un colpo d’ala, verso il primo Pallone d’Oro.

Il Manchester dà ancora.

Quando la parabola di Mou cominciava, non tanto a scendere quanto a evidenziare un plateau abbastanza imbarazzante (se non altro per via degli ingaggi), ecco che il Manchester in cerca di rilanciò lo volle come nuovo manager nel 2016. Per tre estati ha diretto e gestito campagne acquisti con budget faraonici, prendendo non poche cantonate e raccogliendo pochi allori.

Una situazione che lo fece esonerare.

È stato sostituito da SolsKjaer, che quella sera del 9 Marzo 2004 prese il posto di Cristiano Ronaldo solo per assistere alla presa scivolosa di Howard.

Ecco, alla fine il nome mi è ritornato in mente.

Napoleone soleva dire che non sapeva che farsene di generali bravi, lui li preferiva fortunati.

Mourinho lo è stato,ma della fortuna ha anche saputo approfittare.

Sugli allenatori dico sempre di giudicarli dopo 15 anni e in contesti diversi. Se prendete per buona questa mia euristica, allora sarà facile verificare quali allenatori hanno superato il vaglio del tempo.