E’ una storia irreale.

Sembra finzione.

Ci hanno pure fatto un film (davvero bello tra l’altro)

Solo che finzione non è.

E’ tutto, TRAGICOMICAMENTE vero.

L’attore principale è un “certo” Mario Kempes, argentino.

Avete letto bene.

Non è un caso di omonimia.

E’ proprio lui.

Mario Kempes, eroe assoluto dei Mondiali del 1978, quelli giocati in Argentina e vinti dalla Nazionale di casa.

I Mondiali della dittatura sanguinaria di Videla.

I Mondiali della “marmellata peruviana”.

I Mondiali delle torture e delle uccisioni ai dissidenti nella Scuola Meccanica dell’Esercito a poche centinaia di metri dal Monumental, lo stadio dove l’Argentina si consacrerà Campione del Mondo di calcio.

I Mondiali degli aerei che sorvolavano il Rio della Plata scaricando migliaia di corpi, non solo di membri dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo o dei Montoneros, ma anche di giovani studenti universitari che semplicemente speravano in una Argentina diversa, democratica.

Ma i veri protagonisti di questa storia sono 23 ragazzi argentini e uruguaiani che nell’estate del 2001 arrivano in Italia, la terra dei loro avi, di cui hanno conservato il passaporto e quindi utilizzabili anche nel campionato italiano di Serie C2.

Lasciano famiglie, affetti, certezze … convinti di firmare un redditizio contratto nel Paese considerato l’Eldorado del pallone.

Arrivano in mezzo alla Pianura Padana, a Fiorenzuola d’Arda, dove d’inverno la nebbia ti entra nelle ossa e dove d’estate per le zanzare non bastano gli AK-47.

Si portano dietro gli stessi identici sogni dei loro nonni che avevano fatto il viaggio inverso decine e decine di anni prima.

Quello di un futuro diverso e migliore, di quello che si prospettava in Argentina che da lì a qualche mese sarebbe sprofondata in una delle sue peggiori (anche se ahimè frequenti) crisi economiche di sempre.

Sono ragazzi, la maggior parte provenienti da campionati di serie B di Argentina e di Uruguay ma per cui l’Italia, allora il Paese del Bengodi del calcio Mondiale, era IL SOGNO.

Quei 2.000.000 di lire o poco più al mese che potevano essere magari solo un trampolino di lancio verso la Serie C1 o la B o chissà, magari anche verso il palcoscenico principale, quello dove giocavano in quel momento Batistuta o Recoba, idoli assoluti per la maggior parte di loro.

A guidarli c’è proprio Mario Kempes, ex grandissimo giocatore ma soprattutto innamorato del calcio e autentico giramondo della panchina.

Indonesia. Albania, Venezuela, Bolivia … dove c’era una panchina disponibile Mario Alberto Kempes Chiodi andava.

E così in quell’estate del 2001 si fa convincere da un certo Alessandro Aleotti e dalla sua Global Sporting Football, una delle tante agenzie di calcio interinale che gestivano (ora sono molte di più) il futuro di centinaia di ragazzi ad ogni latitudine accecati dal Dio Pallone e trattati come merce di scambio e con la stessa durata di scadenza di una mozzarella …

Il sogno finisce ben presto.

Cavilli burocratici, soldi che non arrivano, fideiussioni mancate e perfino una “spruzzata” di stupido e bieco campanilismo …

E così si passa attraverso la tristezza di Daniel, che sognava di ripetere le imprese di suo zio, Alberto Schiaffino, geniale centrocampista degli anni ’50, nella dignità con cui Gaston dissimula la delusione, oppure nelle risate gioiose di Pedro che sembra impermeabile allo sconforto o nelle pacate riflessioni di Oscar, che sembra molto più maturo dei suoi 20 anni …

Tutto, come detto, finisce ancora prima di iniziare.

Kempes ci proverà pochi mesi dopo, ancora in C, ancora in Italia, alla Virtus Casarano.

Resisterà un mese. Senza vedere un soldo pare … prima di tornare in Spagna, sempre su una panchina di serie C.

Per quasi tutti i ragazzi invece sarà un ritorno in Sudamerica con la coda tra le gambe. Nonostante Mario Kempes continui a ripetere loro che ogni “esperienza val la pena di essere vissuta, anche la peggiore”.

Scacciati anche loro come i loro nonni da una terra che non aveva spazio per loro, neppure nella sfolgorante giostra del calcio.

E’ una storia di quelle che io definisco “dell’altra metà del calcio”…

Quella più vera, umana e spesso tragica.

Ed è una storia da vedere.