Il 20 Settembre del 1987 si sposava mia cugina, si giocava la seconda di campionato e il giorno dopo sarebbe stato il mio primo giorno alle scuole medie.

Quel matrimonio finì tardi, mi persi 90mo minuto e dopo le otto di sera a casa di mio nonno vidi Domenica Sprint.

Ricordo che vidi Baggio uccellare tutta la difesa del Milan, e rimasi quasi incredulo nel vedere la Juventus della già Scarpa d’Oro Ian Rush perdere contro l’Empoli per effetto della rete di Ekstroem.

Il giorno dopo entrai in classe nella I A con la cartella di Maradona, il diario del Milan e il Corriere dello Sport sottobraccio.

Non ridete, posso produrre testimonianze delle mie compagne di classe (alle elementari ero l’unico maschietto della classe) sul fatto che leggessi giornali sin dalle elementari.

Bene, scuola per scuola, ricordo tipo un 8 dato a in pagella a Toni Polster con motivazione qualcosa come “ha sgretolato la roccia” o “ha sgretolato lo Zar ”.

Già, perché dopo due giornate Polster era bomber principe e fare tre gol con lo Zar alle costole non era roba da tutti i giorni. Era un fenomeno in quegli anni, Vierchowood, e fenomenalmente veniva ignorato dalla nazionale maggiore.

C’è un filo sottile che unisce lo spento Rush e il rodomontesco Polster di quella giornata: ed è la Scarpa d’Oro.

Rush, come detto, l’aveva già vinta.

Polster l’aveva appena persa.

Ora, siccome trattasi di un premio e non di un oggetto, non è che si possa perdere qualcosa di non ancora conquistata.

Anton Polster, classe 1964, allure da attore hollywoodiano, con vaga somiglianza con l’attore David Hasselhoff di Supercar, nella stagione 1986-87 aveva marcato qualcosa come 39 reti nel campionato austriaco giocando con l’Austria Vienna. Più che sufficienti per vincere la Scarpa d’Oro, trofeo dove s’era classificato al terzo posto (a pari merito con il turco Tanju Colak che l’avrebbe vinto nel 1988) nel 1986 alle spalle di Marco Van Basten, vincitore con 37 reti, e del sovietico Oleg Protasov.

Ora, i più arguti di voi avranno certamente capito che questo titolo individuale, la Scarpa d’Oro per l’appunto, nato nel 1967-68 sulla scia del successo del Pallone d’Oro, aveva la caratteristica di andare a premiare il calciatore che avrebbe marcato più reti in un stagione all’interno delle competizioni nazionali europee.

Nel corso degli anni, l’albo d’oro del premio era riuscito a miscelare carneadi come Sōtīrīs Kaïafas a superstar affermate come Eusebio, quando non a future star come Van Basten, che nel 1986 non era certo il miglior attaccante al mondo, o come lo Stoichkov del 1990.

Ora, non mi stancherò mai dirlo: il contesto non è importante.

È tutto.

All’epoca non lo sapevamo, ma la Guerra Fredda era agli sgoccioli, e quella contrapposizioni si giocava in ogni campo, anche, forse soprattutto, su quello sportivo. E qui entra in gioco il rumeno Rodion Camataru.

Nato nel 1958 a Strehaia, nel sud della Romania, Rodion esordì in Divizia A con la maglia dell’Universitatea Craiova. Attaccante dai buoni mezzi fisici, si segnalò all’inizio più per la generosità che per la killer instinct in area. Poi pian pianino cominciò ad aggiustare il tiro e nel 1986 lasciò l’Universitatea Craiova dopo dodici stagioni, 288 partite e 122 gol, per accasarsi alla Dinamo Bucarest. Ora dire Dinamo in quegli anni significava dire Polizia di Stato dei paesi d’Oltrecortina. E dire Polizia in Romania in quegli anni significava dire Nicolae Ceaușescu.

Va da sé che dire Dinamo significava anche alludere alla polizia segreta, alla famigerata Securitate. A chiudere il cerchio, i figli di Ceasescu tifavano uno la Steaua, squadra dell’esercito, e l’altro la Dinamo, per l’appunto.

Qui le cose cominciano a divergere.

Per qualcuno Rodion Camaturu fece 21 gol nelle ultime 7 partite, per altri li fece nelle ultime 6: alla fine furono 44 segnature in 33 partite..

Non ha molta importanza la successione delle reti, sono informazioni adesso facilmente reperibili, ma la sostanza non cambia.

A Rodion Camataru fu prima assegnata e poi revocata la Scarpa d’Oro perché in seguito a delle indagini fu accertato che il regime di Nicolae Ceaușescu aveva suggerito (diciamo cosi!) alle squadre avversarie di non essere troppo accanite nel difendere su Camataru. Non a far vincere la Dinamo, intendiamoci, che di quelle 6-7 partite sotto esame ne vinse ben poche.

La decisione postuma scontentò tanto Camataru, che si difese, allora come oggi, asserendo di non aver mai chiesto aiuti, quanto l’austriaco Polster, che si sentì gabbato e il premio assegnato anni dopo, senza una cerimonia di premiazione (che a suo tempo aveva disertato rifiutando di farsi consegnare la Scarpa d’Argento), gli lasciò, e si può ben capire, un retrogusto amaro.

Va detto che Polster non se la prese mai con Camataru in quanto calciatore, dicendo che era un grande attaccante e che non aveva bisogno di aiutini del genere per vincere. Sarà, ma Camataru non aveva mai vinto, prima del 1987, la classifica dei bomber in Romania.

Rodion dal canto suo, a mettere il carico sulla querelle, in qualche occasione ventilò dubbi su 39 di Polster, dicendo che mica abbiamo visto sul serio come li aveva realizzati.

Rodion fu tra i primissimi, se non il primo, calciatore a giocare all’estero; e lo fece in Belgio, nelle file del Charleroi, e in Olanda, difendendo i colori dell’Heerenveen. Senza lasciar traccia.

Balza agli occhi un’altra singolarità rumena. La scarpa d’Oro fu vinta (due volte) da Dudu Georghescu prima di Camataru e da Dorin Mateut nel 1989, quindi dopo Rodion. Tutti e tre erano in forze alla Dinamo al momento della vincita del titolo individuale.

Mateut, a differenza degli altri, di tutti gli altri, era più un centrocampista offensivo che un attaccante.

La Guerra Fredda, dicevo, si giocava anche sul piano sportivo, mentre l’attuale scontro di civiltà non potrebbe avvenire su campi e piste, ma su discussioni interminabili intorno a due libri: la Bibbia e il Corano.

Capite bene che non c’è molta epicità in tutto ciò, mentre la battaglia sportiva smuoveva ed eccome le coscienze. Camataru, al pari di altri big d’Oltrecortina che in quegli anni di disgelo cominciarono a giocare nei campionati occidentali non riuscì a farsi valere; ma non ci riuscirono neanche Zavarov e Belanov, Mikhailichenko e Dobrowolski (sui quali avrei scommesso a occhi chiusi), Protasov e Lacatus.

Persino Hagi faticò.

Ritengo che la questione era culturale prima ancora che tecnica. Questi andarono in occidente da adulti, mentre Shevchenko e Rebrov già da adolescenti ebbero la fortuna di poter accedere e assorbire più liberamente lo stile di vita e i valori occidentali, elemento che aiutò la loro integrazione nelle nuove realtà.

Quel Settembre del 1987 aprì il campionato di serie A senza una Scarpa d’oro del passato come Wim Kieft, che aveva lasciato il belpaese per andare al Psv e a vincere con Koeman la Coppa dei Campioni, e con il debutto di uno che la Scarpa d’Oro andò vicino a vincerla, ossia il greco Nikos Anastopoulos, il quale non riuscì a evitare, anche per il suo pessimo campionato, la B all’Avellino.

Il premio cominciò a perdere in credibilità e nel 1991 l’ultima Scarpa d’Oro del primo periodo se l’aggiudicò Darko Pancev.

Il premio fu reintrodotto a partire dalla stagione 1996-97, con formula diversa, ossia assegnando dei coefficienti diversi ai gol segnati in Italia e alle reti segnate in, per dire, Estonia.

Il primo vincitore del nuovo corso della Scarpa d’Oro fu Luis Nazario da Lima, cioè Ronaldo.

Il Fenomeno.

RODION-CAMATARU