La strada se lo portò via all’improvviso, una domenica di metà ottobre. Come si era portato via, dodici anni prima, una domenica di fine settembre, James Dean, l’idolo della “gioventù bruciata”, dei “ribelli senza un motivo”. Di ribelle, Gigi Meroni da Como, aveva solo i capelli lunghi e il vezzo di portare una gallina al guinzaglio per le vie di Torino. Di tanto in tanto, per stupire i benpensanti di un’Italia figlia del boom economico, ma in attesa di quello culturale.

Entrambi nati a febbraio, l’8 il giovane protagonista de “La valle dell’Eden”, il 24 il talento cresciuto sul lago di Como. Entrambi ventiquattrenni, l’età di chi ha tutta la vita davanti e non sa, invece, di aver già consumato il corto filo che le parche gli hanno assegnato.

Per amara ironia della sorte, alla guida dell’auto che tagliò la strada alla Porsche di Jimmy sulla Statale 46 e di quella che falciò Gigi in corso Re Umberto a Torino c’erano due ragazzi come loro: il ventitreenne Donald Turnupseed e il diciannovenne Attilio Romero.

Non sappiamo cosa avrebbero potuto fare, ce lo possiamo solo immaginare. Sappiamo che non invecchieranno mai. “Gli eroi son tutti giovani e belli”, ha scritto Guccini. E Meroni e Dean sono stati gli eroi di due generazioni di ragazzi di tutte le età, dei ragazzi che vorrebbero cambiare il mondo. E poi è il mondo che cambia loro. Con Gigi e Jimmy non è dato sapere se ci sarebbe riuscito. Probabilmente no. O almeno ci piace crederlo.

L’avevano soprannominato “Calimero”, piccolo e nero, giocando sulla sua corporatura esile e sul colore scuro dei baffi e dei capelli. E c’era chi lo proteggeva. La leggenda vuole che, prima dell’inizio delle partite del Torino, il portiere Lido Vieri, piombinese dalla bella faccia d’attore, sussurrasse ai difensori della squadra avversaria: “Chi fa male a Gigi, poi se la vede con me”. Non risulta che Meroni sia mai uscito dal campo per infortunio.

Quando si pensa a lui viene da pensare anche a un altro Luigi, il piemontese Tenco, anche lui volato via come una foglia al vento, lontano, lontano da noi dal 1967. Entrambi osteggiati per motivi che oggi fanno solo sorridere, e anche un po’ arrabbiare se si pensa alle critiche che dovettero subire. Tutti e due cresciuti senza un padre, adottati da una città, Genova, che è“foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia”.

La fantasia di un poeta con le parole e la fantasia di un poeta con le ali alle gambe. Due ali per volare, leggero come una farfalla, sopra i tacchetti degli avversari vanamente protesi, sopra le convenzioni sociali, proterve e più difficili da dribblare. In molti l’han paragonato a George Best, con la differenza che Gigi era solo il genio, la sregolatezza l’aveva lasciata al “socio” irlandese.

Se Best era il quinto Beatle, Gigi era il “gemello” di George Harrison. Erano nati a un giorno di distanza, il ragazzo italiano e il più timido, ma forse il più geniale e il più buono, dei baronetti di Liverpool, capace di dire: «Non ha molta importanza se sei il re di un paese, il sultano del Brunei o uno dei favolosi Beatles; conta quello che hai dentro». E dentro, Gigi, aveva una grande bellezza, la bellezza di una persona speciale che tutti vorremmo conoscere.

“I belli muoiono giovani e lasciano i brutti alla loro brutta vita”, ha scritto Charles Bukowski. Erano belli, Gigi, Luigi e Jimmy, “Non sapremo mai perchése ne sono andati, erano tanto belli…”.

Ciao Gigi, ci manchi tanto