Ci sono gol che fanno la storia.

Spesso senza che la storia stessa se ne accorga.

O almeno non subito.

A volte occorrono anni, addirittura decenni per riuscire a definire, contestualizzare e riconoscere l’importanza di una rete.

La nostra storia si svolge il 18 giugno del 1970.

Anche se in realtà inizia vent’anni esatti prima.

Inizia quando il Brasile nel suo nuovo e fiammante Maracanã perde l’ultima partita di quel Campionato del Mondo consegnando nelle mani dell’Uruguay un titolo che “doveva” essere suo.

Non era una finale vera e propria.

Era l’ultima partita di un girone finale a quattro squadre e al Brasile, che aveva seppellito di reti Spagna e Svezia nei due incontri precedenti, bastava un pareggio per coronarsi, per la prima volta nella storia di questo Paese malato di calcio, Campione del Mondo.

Nonostante il gol di Friaça in apertura di ripresa pareva aver messo la contesa in discesa per Zizinho e compagni.

Come andò a finire lo sanno tutti.

Prima Schiaffino e poi Ghiggia affondarono quel pavido e insicuro Brasile riportando in Uruguay il titolo vinto vent’anni prima.

Uruguay che in quel 18 giugno del 1970 sarà ancora l’ostacolo che il Brasile dovrà superare per arrivare alla finale di quel Campionato del Mondo.

Brasile che nel frattempo di Mondiali ne ha vinti due, uno in Svezia nel 1958 e uno quattro anni dopo in Cile seppur perdendo per strada il Pelé probabilmente più forte della storia ma con un Garrincha che incantò il mondo con le sue serpentine, i suoi cross e i suoi gol.

Non solo ci sono due Mondiali in bacheca a raccontare della forza di una Nazionale che ha finalmente trovato la sua dimensione nel calcio mondiale ma c’è anche un percorso fino a quel momento quasi perfetto.

Solo vittorie, tre nel girone di qualificazione (tra le quali spicca quella contro l’Inghilterra forse più forte di sempre) e quella nei quarti contro il sorprendente Perù.

Ma scacciare i fantasmi non è affatto semplice.

Alla vigilia di quel match non si parla altro che del “Maracanazo”, ovvero di quel maledetto giorno di luglio del 1950 che fece sprofondare nel dolore un Paese intero.

I media di tutto il mondo non parlano d’altro.

In Brasile poi sembra una tortura.

Non a livello di quella che la spietata dittature al potere nel Paese sta attuando verso chiunque in Brasile osi pensare ad una forma diversa, più umana e democratica di governo ma comunque in grado di mettere una pressione enorme nei confronti di Pelé e compagni.

«Ogni intervista ci riportava immancabilmente a quel giorno» ricorda Paulo Cesar Lima, detto “Caju”, uno dei giovani protagonisti di quel Brasile, in pratica il “12mo” uomo di quella selezione.

«All’epoca eravamo solo dei bambini, alcuni di noi non andavano neppure a scuola e non si ricordavano nulla di quanto accaduto quel giorno al Maracana» 

L’Uruguay non è una brutta squadra, anzi.

In porta hanno uno dei numeri “1” più forti al mondo, Ladislao Mazurkievicz, una ala destra rapida e dal tiro potente e preciso come Luis Cubilla, (con un passato nel Barcellona e nel River Plate) c’è un difensore arcigno e spietato come Julio Montero Castillo (padre di Paolo Montero, ex-difensore di Juventus e Atalanta) ma di sicuro non c’è neppure lontanamente la qualità dell’Uruguay di Varela, Ghiggia e Schiaffino.

Quando inizia il match però è evidente a chiunque che quello non è lo stesso Brasile sceso in campo nelle partite precedenti.

Sembrano undici anime smarrite che vagano per il campo con il pallone che scotta tremendamente sui piedi di tutti, compresi quelli con una tecnica sublime come Rivellino, Gerson e lo stesso Pelé.

Ci sono disimpegni sbagliati sulla propria trequarti che permettono alla “Celeste” di arrivare al tiro più volte nel primo quarto d’ora di gioco.

Per il Brasile è un’impresa sia fare tre passaggi di fila che superare la linea di metà campo.

Al 16mo Cubilla ruba palla e scarica una bordata che finisce un palmo sopra la traversa di Felix.

L’Uruguay è padrone della partita.

Due minuti dopo i fantasmi prendono forma.

Brito, che sembra avere il marmo nei piedi, regala palla a Morales, la ficcante ala sinistra dell’Uruguay.

Guarda in area e vede sul vertice opposto il compagno Cubilla.

Lo serve alla perfezione e altrettanto perfetto è il controllo di palla di Cubilla con la coscia.

Sembra però che l’angolo di tiro sia ormai troppo “stretto” ma Cubilla con l’interno del piede accarezza la palla prendendo in controtempo Felix, il portiere del Brasile. Palla sul palo opposto e vantaggio per gli uruguaiani.

Morales e Cubilla continuano a imperversare.

Clodoaldo e Carlos Alberto sono costretti alle maniere forti per fermare i due esterni d’attacco dell’Uruguay.

Non passano neppure cinque minuti che l’Uruguay è ad un passo dal raddoppio.

Morales sta per battere a colpo sicuro ma Carlos Alberto riesce ad anticiparlo di un soffio.

Il Brasile prova a scuotersi ma la difesa della “celeste” è organizzata e le poche volte che i brasiliani riescono ad arrivare al tiro trovano sempre un attentissimo Mazurkievicz.

Il primo tempo è ormai agli sgoccioli.

I fantasmi hanno la maglia celeste e i pantaloni neri e corrono e lottano come forsennati.

Dicono che il fulmine non colpisce mai due volte nello stesso posto.

Andatelo a raccontare ai brasiliani in quel preciso momento.

Intanto l’Uruguay si è raccolto nella sua metà campo e schierato senza ansia o frenesia sta aspettando il fischio del signor Jose Maria Ortiz de Mendibil, l’arbitro spagnolo dell’incontro.

Rivellino ha la palla tra i piedi ma è ancora nella propria trequarti.

Mentre l’appoggia lateralmente ad Everaldo vede con la coda d’occhio Clodoaldo inserirsi a doppia velocità.

Non è impossibile che si stia chiedendo dove sta andando il suo compagno.

In fondo in una squadra con cinque “numeri 10” in campo Clodoaldo è l’unico centrocampista che ha più compiti difensivi che offensivi.

E’ lui che deve stare a protezione del reparto difensivo.

E’ lui che deve recuperare palloni e poi semplicemente appoggiarli ad uno dei cinque talentuosi compagni che giocano davanti a lui.

Stavolta però Clodoaldo si lancia in attacco.

Everaldo probabilmente sta facendo lo stesso ragionamento di Rivellino.

«ma dove va il nostro numero “5” ?»

A quel punto tanto vale dargli la palla!

Ed è esattamente quello che fa Everaldo.

Clodoaldo riceve la palla ma invece di tentare imprese spettacolari o giocate di alta scuola si limite ad appoggiare la palla a Tostão, largo a sinistra con i piedi a calpestare la linea laterale.

Le sorprese però non sono finite.

Clodoaldo accelera ancora il passo e si lancia a tutta velocità verso l’area di rigore avversaria.

Lo stupore dei difensori uruguaiani è evidente.

«Clodoaldo? Cosa ci fa qua?”

Nessuno se lo aspetta e nessuno lo segue.

Tostão fa lo stesso ragionamento di Everaldo.

«Beh, visto che ha fatto tutta questa strada …»

Il pallone del numero “9” brasiliano è un capolavoro.

Con l’interno del piede calibra una traiettoria perfetta che aggira la difesa dell’Uruguay e arriva perfetta tra i piedi di Clodoaldo.

Il numero “5” calcia al volo.

E’ una “botta” forte e precisa con l’esterno del piede destro che s’infila sul palo lontano di un incolpevole Mazurkievicz.

E’ il gol che scaccia i fantasmi.

E’ il gol che permette al Brasile di tornare in campo un quarto d’ora dopo “da Brasile”.

E’ il gol che cambia il corso di una partita difficilissima.

E’ il gol che cambia il corso di un mondiale intero.

Nella ripresa è un monologo dei “verdoro”.

Jairzinho e Rivelino segneranno i due gol che daranno la vittoria al Brasile e il passaggio alla finale contro gli azzurri.

Prima della fine di quella partita ci sarà anche il tempo di vedere una delle giocate che hanno permesso al calcio di diventare “poesia”: la finta di Pelé su Mazurkievicz che più di tutti gli oltre 1000 gol di “O’Rey” ci ha descritto il suo genio.

Ma quel gol, l’unico di Clodoaldo con la maglia della sua Nazionale, ha trovato finalmente il posto che merita nella storia del calcio.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Clodoaldo Tavares de Santana nasce ad Aracaju, nell’estremo est del Brasile, nel settembre del 1949.

Perde i genitori in tenerissima età e a sei anni con il fratello maggiore e la sorella si trasferisce a Praia Grande, nei pressi di San Paolo.

Ci sono circa duemila chilometri di distanza.

La povertà è la compagna fedele di quegli anni tanto che a undici anni Clodoaldo inizia a lavorare in una ditta che produceva generi alimentari.

Quando entra nel Santos, squadra nella quale rimarrà praticamente per tutta la carriera, si fa largo molto presto e con tanta determinazione.

Ha solo sedici anni quando durante una tournée in Cile l’allenatore decide di utilizzare a centrocampo la gloria Zito insieme a Lima.

La cosa non piace a Clodoaldo che affronta l’allenatore del Santos di allora, Antoninho.

“Non sono affatto contento della sua scelta. Io credo di meritare il posto in squadra”.

Antoninho è spiazzato dalla tracotanza del giovanissimo centrocampista ma è altrettanto affascinato dal suo temperamento.

“Ok. Giocherai tu vicino a Zito. Così vediamo subito cosa sai fare” è la risposta del suo “Mister”.

Clodoaldo tornerà dal Cile con il posto in squadra garantito, il veterano Zito con il “5” e lui con il numero “8”.

Ben presto però un ginocchio malandato e la carta d’identità sempre più “pesante” costringono Zito, campione del mondo con il Brasile nel 1958 e nel 1962, al ritiro.

Clodoaldo erediterà la maglia numero “5” che porterà sulle spalle per quasi tre lustri prima che anche per lui, come accadde al suo mentore, un ginocchio capriccioso non lo costrinse al ritiro a neppure trentadue anni.

Nel Brasile che incantò il mondo a Messico ’70 Clodoaldo era uno dei più giovani dell’intera rosa con i suoi vent’anni.

Nessuno però si stupì di vedere assegnato a lui il ruolo probabilmente più delicato tatticamente della squadra. Da sempre il “5” nel calcio sudamericano è il ruolo destinato al giocatore fulcro del gioco. Diga a protezione del reparto difensivo e quello da cui passano tutti i palloni nella prima fase di costruzione del gioco.

Va infatti ricordato che Clodoaldo era già titolare dall’anno prima quando sulla panchina del Brasile sedeva João Saldanha che fece esordire Clodoaldo in Nazionale in una prestigiosa amichevole contro l’Inghilterra campione del mondo al Maracanã.

Si racconta che in quell’occasione Clodoaldo corse talmente tanto che a fine partita aveva perso cinque chilogrammi di peso.

Per molti osservatori Clodoaldo è stato uno dei più grandi centrocampisti difensivi della storia del calcio. E se la sua intelligenza tattica e la capacità di recuperare palloni gli sono sempre state riconosciute sono invece spesso passate in secondo piano le sue eccezionali doti tecniche, probabilmente perché impiegato in un ruolo meno appariscente o forse perché soverchiato dai cinque fenomeni che giocavano davanti a lui. Ma per rendersi conto della sua indubbia qualità è sufficiente andare a gustarsi sul web la sua giocata sulla trequarti difensiva che diede il “là” all’azione del quarto gol brasiliano segnato da Carlos Alberto nella finale con gli azzurri.

Celebre la sua frase in cui anni dopo ricordò quella giocata.

«ho scartato tutti i giocatori italiani che mi si sono fatti incontro. Avrei anche continuato volentieri ma nessuno si fece più sotto e così decisi di passare la palla a Rivelino!»

Molto si è detto della deludente nazionale brasiliana ai Mondiali di Germania Ovest del 1974. Pochi però ricordano che quella Nazionale si presentò a quella edizione non solo senza Pelé che a 34 anni era avviato al crepuscolo della sua carriera ma soprattutto senza Tostão e Clodoaldo che erano invece nel pieno della loro maturità calcistica ma che per infortunio dovettero rinunciare alla possibilità di difendere il titolo conquistato in Messico quattro anni prima.

A ventisei anni, nel 1975, inizia per Clodoaldo un lungo calvario fatto di infortuni, operazioni e recuperi sempre più lunghi e difficoltosi.

La Nazionale non ha più bisogno di lui. Sulla scena sono apparsi giocatori del valore di Batista e soprattutto di Toninho Cerezo e per Clodoaldo, dopo l’ultima tribolata stagione con il Santos, ci sarà una breve esperienza negli Stati Uniti che terminerà dopo poco più di un anno con gli infortuni come unica costante.

Nelle classifiche dei migliori calciatori della storia che si parli di tutti i tempi, che si parli solo del Sudamerica o che si parli solo del ventesimo secolo non troverete mai il nome di Clodoaldo Tavares de Santana.

“Unsung heroes” li chiamano gli inglesi.

Sono gli “eroi non celebrati” del calcio.

Almeno in questa classifica Clodoaldo è di sicuro ai primissimi posti …

E’ uscito da poche settimane l’ultimo libro di Remo Gandolfi.

“Matti, miti e meteore del futbol sudamericano” di cui qui trovate il link

http://www.urbone.eu/obchod/matti-miti-e-meteore-del-f%C3%B9tbol-sudamericano