Il 1968 è universalmente indicato come l’anno della contestazione, l’anno della rivolte nelle scuole e nelle università, con i giovani di tutto il mondo desiderosi e smaniosi di cambiare in meglio il mondo.

Nel mondo del calcio sudamericano, il 1968 sarà ricordato come l’anno dell’ascesa dell’Estudiantes, squadra fondata nel 1905 da alcuni studenti. Bene, questa squadra fu la prima a vincere ben tre volte consecutivamente la Coppa Libertadores. In realtà nessun’altra compagine è riuscita nell’impresa, eccezion fatta per l’Independiente, che in seguito riuscirà a timbrare un poker.

Giocava così bene, questo Estudiantes? Erano temibili, quasi nessuno voleva giocare contro di loro.

Ma non per motivi tecnici.

L’Estudiantes di quegli anni era una squadra di macellai, di picchiatori senza pietà, nonostante alcuni di loro, come Carlos Bilardo e Raul Madero, stessero studiando medicina.

Con una sola eccezione: Juan Ramon Veron, detto “La Bruja“, la strega. Era il papà del Juan Veron che ha giocato nella Sampdoria, nella Lazio e nell’Inter.

Bilardo e compagni, con le cattive più che con le buone, difendevano ciò che Veron creava. Era comunque la squadra che, sempre nel 1968, riuscì a vincere la Coppa Intercontinentale avendo la meglio sul Manchester United di Bobby Charlton e del Quinto Beatles George Best.

Contro una simile orda di demoni, guidati da una “strega“, l’unica cosa che può aiutare è il ricorso all’Acqua Santa, a un esorcista. O a un prete. E agli uffici di un prete ricorse il Barcelona Guayaquil, quando, il 29 aprile del 1971, riuscì a battere, nel catino ribollente di Mar de la Plata, i tre volte campioni dell’Estudiantes.

Giocava un prete nel Barcelona, e questi, assistito in un fulminante contropiede da Alberto Spencer, scagliò la sfera alle spalle di Bambi Flores, segnando il gol decisivo. L’Estudiantes non aveva ancora perso in quella edizione della Libertadores, e il gol ammutolì i trentamila del Jorge Luis Hirschi, mentre i radiocronisti ecuadoregni di Radio Atalaya impazzirono di gioia, e dissero: “El toque magistral vuelve inútil la salida del arquero Flores. Benditos sean los botines del padre Bazurco“. Benedetti siano gli scarpini di padre Bazurco.

Ma chi era questo prete-goleador?

Si chiamava Juan Manuel Bazurco Ulacia, classe 1944, e non era ecuadoregno, bensì spagnolo, basco a voler essere più precisi e nazionalisti. Nonostante l’ingresso in seminario, Bazurco non lasciò il gioco del calcio e si fece un nome nelle serie minori spagnole come attaccante d’area ruvido tecnicamente, ma forte fisicamente, generoso nell’impegno e coraggioso nelle battaglie e nei mischioni.

Nel 1969 fu mandato in Ecuador per dare il suo contributo a diffondere la parola di Gesù, ma subito trovò una squadra, nella quale, complice anche la singolarità di avere per centravanti un sacerdote, si mise così in luce da meritarsi le attenzioni del Barcelona Guayaquil. Barcelona Guayaquil che però, stante la distanza dalla parrocchia, spesso e volentieri dovette fare a meno dei servigi agonistici del religioso, in quanto non sempre risultava agevole conciliare l’omelia con la tenzone agonistica. E quasi mai riusciva ad allenarsi.

Il suo buon carattere e il suo impegno in campo vinsero le iniziali ritrosie e perplessità sull’avere in squadra e come compagno un prete,

“Ricordo che arrivava il giorno stesso della partita, faceva qualche esercizio di riscaldamento, cercava la giusta concentrazione e poi era pronto a scendere in campo”, parole e musica di Luciano Macías, compagno di squadra di Basurco in quegli anni.

Non giocò molto, ma quella sera, contro i macellai argentini, Juan Manuel Bazurco Ulacia c’era ed eccome.

La vittoria in terra argentina assunse subito i connotati dell’impresa e del mito, al punto che don Ricardo Chacón, giornalista di punta di El Universo, non trovò di meglio da dire che:

“Passeranno molti anni. L’uomo arriverà non solo sulla Luna, ma anche su altri pianeti e in altri sistemi solari, però i tifosi ecuadoriani si ricorderanno sempre della notte in cui il Barcelona sconfisse l’Estudiantes“.

In tutta onestà non so se il Barcelona abbia mai più sconfitto gli argentini dell’Estudiantes, in casa o meno. Ne dubito, e ciò non fa che accrescere il fascino di una partita e un’impresa che pare uscita dalla fantasia e dalla penna di un Osvaldo Soriano o un Eduardo Galeano.

Invece è tutto vero.

E accadde a Mar de La Plata il 29 aprile del 1971. La partita ricordata come la Hazaña de la Plata, l’impresa de la Plata.

Se questa è poesia, la prosa m’impone di riportare che Bazurco poco dopo aver appeso le scarpette al chiodo decise di farla finita anche con la religione. Trovò moglie, insegnò alle medie e mise al mondo due figli.

Ha rilasciato di tanto in tanto interviste in merito a quella notte e a quel gol sino alla sua morte, avvenuta nel 2014.

Queste storie di calcio sudamericano d’antan sembrano davvero favole inventate, buone per lasciare a bocca aperta i bambini, ma spesso son fascinosamente vere. A condire il tutto con una ulteriore spruzzatina di mistero c’è la questione del cognome: nato Juan Manuel Basurco Ulacia, a volte il cognome si trova scritto, oltre a Basurco e Bazurco, anche come Basurko o Bazurko.

Sia come sia, quella notte un prete, chiamato da un paese lontano, arrivato in sudamerica seguendo una traiettoria inversa a quella del Francesco che disse di essere arrivato dalla fine del mondo, fece piangere i calciatori dell’Estudiantes e i tifosi del Jorge Luis Hirschi.