“Beh, non è andata poi così male.

A quei tempi ci sembrava la cosa più naturale del mondo.

Entrare su un terreno di gioco e battere tutti quelli che ci trovavamo di fronte.

E’ andata così per parecchi anni.

Che si trattasse dell’Aberdeen, del Dunfermline o dei nostri grandi rivali dei Rangers su da noi a nord del Vallo di Adriano o in giro per l’Europa contro Real Madrid, Benfica, Liverpool o … l’Internazionale di Milano.

Questi ultimi li battemmo nella finale di Coppa dei Campioni del 1967.

Prima squadra britannica a trionfare nella più importante competizione europea”.

Lì per lì non ci fai troppo caso.

Hai vent’anni o poco più e il mondo sembra solo un grande parco giochi.

E pensi che di giornate come quelle ne riempirai la vita e la carriera.

Te ne accorgi più in là, quando inizi ad invecchiare, quando smetti di giocare a pallone e la gente ti riconosce per strada e ti ringrazia per il “sogno” che gli hai regalato.

Eravamo una squadra di amici.

Tutti nati nel raggio di una cinquantina di miglia di Glasgow.

Tutti disposti a sacrificarsi l’uno per l’altro.

Tutti fermamente convinti che “l’unione fa la forza”.

… anche se ogni tanto qualcuno mi mandava a quel paese perché di passare la palla non è che ne avessi tanta voglia …

In realtà a ripetere quel sogno ci andammo vicini anche qualche anno dopo, in una notte di pioggia a Milano.

Ma gli olandesi del Feyenoord furono più bravi di noi.

Se però ripenso a quando iniziò tutto quanto … beh, non fu esattamente una passeggiata !

Con il fisico che mi ritrovavo pareva che nessuno volesse darmi credito.

“Cazzo, devo giocare a calcio, mica fare la lotta !” ripetevo in continuazione a tutti quelli che storcevano il naso guardando il sottoscritto magari ancora prima di scendere sul campo di gioco.

Ma mica ho mai mollato !

Io VOLEVO giocare a calcio.

Per farlo dovevo irrobustirmi visto che di crescere in altezza non se ne parlava !

Allora andavo a correre nei boschi intorno a Bothwell’s … ma mica con delle scarpe da ginnastica da fighetto.

Con gli scarponi da minatore di mio cugino !

Facevo una fatica del diavolo ma i polpacci diventavano ogni giorno più forti.

Qualche volta quegli scarponi li usavo anche nelle partitelle con i miei amici … non che ne fossero molto entusiasti !

Se ti beccavi un calcione con quelle sentivi le ossa scricchiolare.

Dovevo migliorare la mia agilità e il mio equilibrio ?

Allora andavo a camminare sulla recinzione intorno al campetto di calcio di View Park, stando in equilibrio sui quei pochi centimetri di metallo.

Dovevo migliorare la mia tecnica ? Allora schieravo un “esercito” di bottiglie di latte vuote passandoci in mezzo con il pallone come se fossero dei terzini su un campo di calcio.

Adoravo il Celtic e speravo che qualche loro osservatore mi notasse visto che nei tornei locali segnavo gol a valanghe e saltavo giocatori come birilli (o come bottiglie di latte vuote …).

Ci arrivai quando avevo 14 anni. Pensavo che il più fosse fatto. E invece mi sedevo regolarmente in panchina giocando solo quando qualcuno dei titolari aveva qualche problema.

Il massimo che ottenni fu di fare il raccattapalle in qualche partita della prima squadra.

Il che non fece che aumentare a dismisura la mia determinazione.

Vedere i tuoi idoli così da vicino, sentire il boato del Celtic Park … beh, non riuscivo ad immaginare niente di più bello per la mia vita.

Mi accorsi che stavo sprecando il mio tempo.

Me ne tornai nel mio quartiere a giocare per i “Boys Guild”.

Giocavo e mi divertivo.

Un giorno ci portarono a Manchester per una partita contro i ragazzi dello United.

Non deve essere andata così male visto che a fine partita un paio di dirigenti del Club dell’Old Trafford mi volevano convincere a firmare per loro.

Tornai a casa che non stavo nella pelle !

“Il Manchester United”.

Non c’era un solo ragazzino in tutto il Regno Unito che non conoscesse la storia dei “Busby Babes” e della tragedia di pochi anni prima.

La notizia dell’interesse dello United aveva già fatto il giro del mio quartiere … ed evidentemente anche un po’ più in là visto che un paio di sere dopo il mio ritorno a casa si presentò Mr. Higgins, uno dei più conosciuti scout del Celtic.

“Figliolo, vuoi giocare per il Celtic Football Club ?” mi chiese Mr. Higgins.

Ma mentre mio padre era in brodo di giuggiole io non avevo nessuna intenzione di farmi fregare un’altra volta.

“Ha detto bene Mr. Higgins. Se vengo è per “giocare”  e per me questa è l’unica parola che conta !”.

Mio padre strabuzzò gli occhi.

Non credeva a quello che aveva sentito.

Io, che a neppure diciassette anni, dettavo le condizioni ad un rappresentante della squadra per cui mio padre faceva il tifo.

Anche stavolta però fu una faticaccia.

Giocavo si, ma nella squadra riserve !

E pensare che quello era il Celtic forse più scarso di tutta la storia.

Il mio esordio in prima squadra arrivò nel marzo del 1963.

Giocavamo al Rugby Park di Kilmarnock.

Ci rifilarono sei gol. A zero.

Io tornai in squadra un mese dopo. Un’altra sconfitta, stavolta contro gli Hearts.

Ma con la grande soddisfazione di segnare il mio primo gol ufficiale con la maglia del Celtic. Fu il primo di 135.

Ci barcamenammo alla bene e meglio per un altro paio di stagioni.

Poi, nel marzo del 1965, arrivò lui, Jock Stein.

E tutto iniziò ad andare per il meglio …

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Molto divertente il ricordo di Johnstone del suo esordio con la maglia del Celtic.

“Perdemmo sei a zero contro il Kilmarnock. Oltre al sottoscritto quel giorno fece il suo esordio un altro ragazzo delle giovanili: il portiere Dick Madden. Giocò due partite in una: la sua prima e la sua ultima !

Non venne mai più schierato in prima squadra e venne lasciato addirittura libero a fine stagione”.

Jimmy Johnstone, nonostante un fisico non certo imponente, era conosciuto per la sua grande grinta e il suo indomito coraggio che lo vedeva affrontare senza il minimo timore avversari ben più prestanti di lui.

C’era solo una cosa che lo terrorizzava letteralmente: volare.

Billy Mc Neill, il capitano di quel grande Celtic, ricordava che “Jinky in aereo era un’autentica tortura. Il suo terrore era tale che finiva per condizionare anche tutti noi. Sedersi al suo fianco in aereo era un supplizio”.

Sapendo di questa sua idiosincrasia per gli aerei Jock Stein utilizzò con grande sagacia questa “caratteristica” di Johnstone per ottenere da lui il massimo.

Il caso più clamoroso fu nell’intervallo dell’incontro di Coppa dei Campioni del novembre del 1968 contro la Stella Rossa di Belgrado.

Con il risultato in parità (1 a 1) Jock Stein avvicina Johnstone nello spogliatoio.

“Jinky, se vinciamo con tre gol di scarto ti evito il viaggio in aereo per la partita di ritorno. Te ne potrai stare tranquillo a Glasgow con la tua famiglia” gli dice il grande manager scozzese.

Johnstone nella ripresa è un’autentica furia. Segna due reti e fornisce gli assist per le altre due segnature nel 5 a 1 finale.

Al fischio finale Jimmy Johnstone inizia a saltare per il campo gridando ad alta voce “Non dovrò andare ! Non dovrò andare !” quasi piangendo dalla gioia … il tutto fra l’assoluto stupore dei compagni di squadra totalmente all’oscuro dei  dell’accordo tra Stein e “Jinky”.

Ironicamente, per uno con il terrore per il volo, la volta in cui Johnstone rischiò maggiormente la vita fu … su una barca.

Siamo nel maggio del 1974 a pochi giorni dall’attesissimo incontro con “l’Auld Enemy” per il Torneo Interbritannico e a poche settimane dall’inizio dei mondiali di Germania del 1974.

Johnstone, in ritiro con i compagni di nazionale in un albergo di Largs, in Ayrshire, prima si lancia in una memorabile session alcolica con alcuni compagni di squadra e poi decide, perso nei fumi dell’alcol, di farsi un giretto in barca.

Tutto questo alle 4 del mattino.

La sua scarsa lucidità gli fa perdere il senso dell’orientamento e i compagni di squadra, non vedendolo tornare, si vedono costretti a chiedere aiuto alla Guardia Costiera che recupererà “Jinky” nel bel mezzo dell’Oceano a diverse miglia dalla costa.

La sua “impresa” finirà ovviamente su tutti i giornali mettendo in serio imbarazzo lo staff tecnico della nazionale scozzese e ovviamente lo stesso Johnstone.

… Johnstone che tre giorni dopo sarà il migliore in campo nella vittoria della Scozia ad Hampden Park contro l’Inghilterra !

Una delle esperienze peggiori nella carriera di Johnstone fu senza ombra di dubbio la partita di ritorno per la Coppa Intecontinentale giocata contro gli argentini del Racing Club.

Sarà lui stesso a ricordare che “mai nella mia carriera ho dovuto affrontare avversari così sleali e violenti.

In campo i calci, le trattenute e i tackle decisi hanno sempre fatto parte del gioco. Ma quando nell’intervallo di una partita devi infilarti sotto la doccia perché sei coperto di sputi dalla testa ai piedi vuol dire che tutti i limiti della sportività sono andati a farsi benedire …”

Sono tante le partite di rimaste nel cuore dei tifosi del Celtic per le brillanti performances del loro adorato “Jinky”. Nella stagione  che vide il Celtic conquistare la Coppa dei Campioni in uno dei primi turni agli scozzesi toccarono i francesi del Nantes.

La prestazione di Johnstone nel match giocato in terra francese valse a “Jinky” il soprannome di “Pulce volante” che fu il titolo che il prestigioso “Equipe” gli dedicò il giorno seguente.

Pochi giorni dopo il trionfo di Lisbona contro l’Inter di Sandro Mazzola e compagni il Celtic viene invitato al Santiago Bernabeu per la partita di addio al calcio del grande Alfredo Di Stefano.

In una partita “vera” (Amancio e Auld verranno addirittura espulsi) Jimmy Johnstone  è la star assoluta della serata.

A tal punto che le sue giocate saranno spesso e volentieri accompagnate dagli “olè” del competente pubblico del Real Madrid, in visibilio per i suoi dribbling, i suoi repentini cambi di direzione e le sue accelerazioni.

Altrettanto memorabile quello che accade al termine di quella partita. Per i giocatori del Celtic, dopo quella trionfale stagione, quello con il Real Madrid è l’ultimo impegno prima del classico “rompete le righe”.

“Jinky” recupera la moglie Agnes che era in tribuna ad assistere all’incontro, esce dal Bernabeu e ferma il primo taxi che incontra.

“Benidorm please” sono le due parole che rivolge al taxista.

Il taxista lo guarda sbigottito.

Non conoscendo ovviamente l’avversione di Johnstone per gli aerei prova a fargli capire che da Madrid con un’ora scarsa di aereo raggiungerebbe la famosa località di villeggiatura invece di sorbirsi almeno sei ore di auto.

Tutto inutile.

“Ho voglia di vedere la Spagna” è la serafica risposta del piccolo attaccante scozzese.

Al termine di quella magica stagione per Johnstone arriverà un prestigioso terzo posto nella classifica del “Pallone d’oro” di France Football alle spalle di due autentici fuoriclasse come l’ungherese Florian Albert e dell’inglese Bobby Charlton ma soprattutto davanti a mostri sacri del calcio europeo come Franz Beckenbauer e il portoghese Eusebio.

Un’altra delle leggendarie prestazioni di Johnstone è quella durante la semifinale della Coppa dei Campioni nell’aprile del 1970.

Quella sera, in un Hampden Park stracolmo, Johnstone tiene in scacco l’intera difesa del Leeds United, all’epoca una delle squadre più forti d’Europa.

E’ proprio Johnstone dopo una serie spettacolare di dribbling ad offrire al compagno Bobby Murdoch il pallone del gol decisivo nel due a uno finale.

Billy Bremner, centrocampista del Leeds e suo compagno di squadra nella nazionale scozzese la definì “la prestazione individuale migliore che io abbia mai visto su un campo di calcio”.

Ancora più eloquenti sono le parole del terzino del Leeds Terry Cooper.

“C’era Norman Hunter che continuava a dirmi di riempirlo di calci … ma io non riuscivo neppure ad arrivargli alla distanza sufficiente per sferrarglieli !!!”

Nel 1975, a soli 31 anni, Jimmy Johnstone è costretto a lasciare il suo adorato Celtic.

Sarà una delusione enorme, che Jinky non riuscirà mai realmente a superare.

Le sue successive esperienze (San Josè Earthquakes negli Stati Uniti, Sheffield United, Dundee, Shelbourne fino ai semiprofessionisti dell’Elgin City) saranno solo dei tristi paragrafi nella storia di quello che ancora oggi è considerato il più forte calciatore ad aver indossato la maglia dei mitici “Hoops” di Glasgow.

La sua passione, per’altro mai troppo nascosta, per gli alcolici finirà per diventare un problema decisamente serio a fine carriera.

A tal punto che, in grave crisi economica, Jinky si vede costretto a contattare un ricco uomo d’affari di Glasgow e tifosissimo del Celtic (Mr. William Haughey) nella speranza di riuscire a vendergli tutti i suoi trofei e le medaglie ottenute in carriera per risanare la sua situazione.

Haughey non solo rifiuta l’offerta ma si prodiga in ogni modo per aiutare economicamente Johnstone senza bisogno di svendere i suoi cimeli ma anzi aiutandolo a combattere la sua dipendenza dall’alcol e pagando di tasca propria la clinica dove Jinky, con il supporto di medici e psicologi, riesce a disintossicarsi.

Nel 2001 a Jimmy Johnstone viene diagnosticata la terribile SLA (Sclerosi laterale amiotrofica) che se lo porterà via cinque anni dopo, nel marzo del 2006.

Dal 2008 all’entrata principale dello stadio del Celtic c’è una statua in bronzo a ricordare alle nuove generazioni chi era James Connolly Johnstone, il calciatore più amato nella storia del Club più popolare di Scozia.