Il verde e l’azzurro abbracciano la baia di Belfast.

Da un lato il profilo delle colline tanto care a Jonathan Swift, dall’altro le gigantesche gru dei cantieri navali che partorirono il Titanic e, sullo sfondo, l’argento vivo del Canale del Nord. È venerdì, giorno di paga, ma quando scende la sera c’è sempre poca gente in giro, specialmente qui lungo Shankill Road, nella periferia ovest.

BELFAST

È iniziata l’estate, non piove da tre giorni e la solita tensione sembra tuttavia diminuita. Magari perché la Nazionale dell’Irlanda del Nord, per la seconda volta nella sua storia, si ritrova ai mondiali di calcio.

Giovedì scorso ha debuttato a Saragozza: 0-0 contro una Jugoslavia ormai orfana del Maresciallo Tito e ancora lontana dai conflitti etnici e religiosi a differenza di quanto invece accade nell’Ulster, tra anglicani e cattolici, con assurda e disumana ferocia fin dall’agosto del ‘69.

Sta per iniziare il quattordicesimo anno di guerra civile, una guerra definita “a bassa intensità” ma che ha già fatto oltre 2.300 morti tra i paramilitari repubblicani e quelli unionisti, tra gli agenti e gli ufficiali di polizia, tra i soldati dell’esercito britannico ma soprattutto tra i civili.

E si aggiungano i detenuti nel carcere di Long Kesh, guidati da Bobby Sands, martiri dello sciopero della fame dell’anno scorso.

È il 25 giugno 1982, seconda settimana di ostilità esclusivamente calcistiche ai mondiali di Spagna, la giovane monarchia restaurata vogliosa di rifarsi il trucco e di superare l’epoca franchista durante la quale il Paese si spacciava per l’America tramite i fondali prestati agli spaghetti western.

Campione uscente è l’Argentina che il primo aprile ha invaso le Falkland: isole petrolifere verso l’Antartide restituite alla Regina Elisabetta, proprio in questi giorni, dalla Royal Navy, inviata in guerra a spese dei contribuenti dal Premier conservatore Margaret Thatcher.

E per fortuna il sorteggio aveva scongiurato imbarazzanti incroci tra i militari di Buenos Aires, che puntano tutto su Maradona, e le tre falangi dell’esercito di Sua Maestà approdate in terra iberica: l’Inghilterra, tornata ai mondiali dopo due edizioni di assenza; la Scozia, senza scampo contro Brasile e Unione Sovietica; e appunto l’Irlanda del Nord, intrappolata nel girone della Spagna padrona di casa, omaggiata con il primo rigore del torneo necessario ad evitare la sconfitta contro l’Honduras: matricola capace di imporre l’1-1, nella seconda gara di lunedì, anche ai biancoverdi allenati da Billy Bingham.

Intanto la Spagna aveva ristabilito le gerarchie rimontando la Jugoslavia 2-1 grazie ad un altro rigore, inventato e fatto ripetere dall’arbitro dopo che Lopez Ufarte lo aveva tirato fuori.

Pronostici rispettati quindi con la Nazionale di Belfast costretta a contendere la seconda piazza a quella di Belgrado, vittoriosa ieri sera proprio allo scadere per merito del bosniaco Susic, abile nel dribblare due uomini sulla linea del fallo laterale, saltarne un terzo in corsa ed essere abbattuto dentro l’area dalla penultima pedina della dama honduregna.

Il serbo Petrovic, dal dischetto, ha rispedito a casa la simpatica banda centroamericana. In classifica, Spagna e Jugoslavia 3 punti; Irlanda del Nord e Honduras 2. L’ultima gara si gioca adesso a Valencia, alle 21 ora legale: le 8 p.m. di Belfast.

La Spagna è già qualificata ed è convinta di proseguire al Vicente Calderòn di Madrid nel mini girone con Austria e Francia. Ai nordirlandesi invece serve una vittoria, ben pagata dai bookmaker, oppure un improbabile 2-2 per finire al Bernabeu in pasto a Germania Ovest ed Inghilterra che già si guardano in cagnesco.

BELFAST

In questo piccolo pub di Shankill, zona tra il residenziale e il dormitorio della working-class anglicana di West Belfast, è tutto pronto. Si beve e si fuma nervosamente. La bandiera nazionale, la Red Hand, troneggia appesa al soffitto parallela all’Union Jack.

Il pesante televisore a colori di fabbricazione tedesca, così come di fabbricazione tedesca sono tante armi da fuoco in mano agli unionisti, fa scricchiolare la mensola in alto, sulla parete a destra del popolato bancone di legno scuro, provvisto di immancabile specchiera i cui giochi riflettono, alle spalle del barista Bill Townsend e di suo figlio David, sia le facce spiritate della gente sia il marciapiede aldilà delle finestre, sorvegliato di passaggio dalla polizia, la RUC (Royal Ulster Constabulary) e in pianta stabile dai vigilanti dell’UDA (Ulster Defense Association) nata nei primi anni ‘70 proprio intorno al nutrito gruppo dei volontari di Shankill.

Si temono gli attacchi dell’IRA, ormai l’agguerrita Provisional, determinata a liberare l’Irlanda e capace di soppiantare da oltre un decennio la vecchia Official, troppo legata a Dublino e colpevole di anteporre la politica parlamentare alla lotta armata e soprattutto di non essere stata in grado nell’agosto del ‘69, quando tutto ebbe inizio a Derry (Londonderry per gli inglesi) di difendere prima il quartiere cattolico di Bogside e poi, a Belfast, le case di Falls Road e di Bombay Street dalle molotov degli unionisti fomentati dal reverendo anglicano Ian Paisley e protetti dalla polizia.

A parte l’attentato che, due settimane fa, ha ucciso un poliziotto vicino Derry, le bombe dell’IRA tacciono da aprile e sebbene rudimentali e non ancora preparate con il Semtex, esplosivo cecoslovacco che arriverà presto dalla Libia di Gheddafi, non risparmiano banche, negozi, magazzini, ristoranti e birrerie piene di lealisti come questa.

Dall’Official IRA si è poi separata anche l’INLA (Irish National Liberation Army) il cui ultimo ordigno è costato la vita a un sedicenne e il cui ultimo blitz ha fatto fuori John McKeague, membro di spicco dell’unionista RHC (Red Hand Commando) pronto a svelare ai giudici i nomi degli altri commilitoni coinvolti in un caso di pedofilia. Ciò fece sospettare anche dell’Intelligence britannico già protagonista, un anno prima, dell’agguato al capo della stessa INLA, Ronnie Bunting, la cui eliminazione era stata tuttavia rivendicata dall’UFF (Ulster Freedom Fighters) il braccio armato dell’UDA.

La diretta del match è garantita dall’unico acronimo privo di implicazioni guerrafondaie: la BBC.

Le squadre sono allineate fronte alla tribuna. Il sole inizia a scendere appena suona la Marcia Reale borbonica nel tripudio dei 50.000 del Luis Casanova cui fa da contraltare il brusio del pub che piano piano volge al silenzio in attesa dell’inno dell’Irlanda del Nord: lo stesso della Madre Inghilterra.

I nordirlandesi indossano la seconda maglia: bianca, colletti verdi e croce celtica sul cuore. Il primo, accanto alla terna arbitrale vestita di nero, è il numero 8 Martin O’Neill, cervello del Norwich e due volte campione d’Europa con il Nottingham Forest. L’altoparlante spara le note solenni di ‘God Save the Queen’, ma lui, il capitano, non muove un muscolo. Tutti lo insultano: “Bastardo cattolico!” prima di partire in coro insieme ai tifosi con passaporto del Regno Unito sugli spalti del Mestalla.

Belfast

L’inquadratura indugia sul secondo della fila: il centravanti Gerry Armstrong, anch’egli cattolico e anch’egli muto dietro i suoi baffi sornioni.

Per vederne uno che canta si deve aspettare Jimmy Nicholl. Il terzino destro scandisce fiero: “…send her victorious…” mentre la telecamera scorre e provoca il boato nel locale regalando la faccia pulita e grintosa di Norman Whiteside, l’orgoglio di tutto il quartiere, il ragazzo di Shankill che ha già battuto il record di Pelè.

I diciassette anni compiuti il 7 maggio ne fanno il più giovane esordiente in un campionato del mondo ed oggi firma la terza presenza consecutiva con la maglia della sua Nazionale. In primo piano, adesso,
Sammy McIlroy, numero 10.

Il ghigno e il labiale non tradiscono il doppiaggio ormai assordante dei telespettatori: “…happy and glorious…”.

Anche lui è di Belfast e anche lui, come Whiteside, portato al Manchester United da Bob Bishop, il talent scout che da queste parti aveva trovato un tesoro di nome George Best.

Il numero 11, Billy Hamilton, tortura un chewing gum e guarda per terra insieme a Mal Donaghy, terzino sinistro del Luton Town, uno dei tanti figli di West Belfast il cui nome tuttavia parla chiaro: Mal sta per Malachy, come Malachy o’Armagh, santo della Chiesa di Roma.

Poi tocca a David McCreery, il più basso di tutti, il motore del centrocampo reduce dal campionato americano. Canta fiero con gli occhi al cielo in piena trance. John McClelland e Chris Nicholl, rispettivamente libero e stopper hanno due facce di pietra e sarebbero perfetti all’ingresso del pub come gorilla dell’UDA.

Inquadrato per ultimo, a chiudere la rassegna, c’è il portiere Pat Jennings da Newry, apostolico e romano fin dal nome di battesimo: Patrick Anthony, una vita tra i pali del Tottenham ed ora baluardo dell’Arsenal. Trentasette anni compiuti, venti in più di Whiteside. Per lui niente insulti da parte della selezionata clientela del club lealista, ormai privo di sedie e di sgabelli liberi. Serve un giro veloce di tavoli per recuperare i bicchieri vuoti prima del fischio d’inizio.

La cattolica Spagna in maglia rossa, pantaloncini blu e calzettoni neri, schiera Arconada in porta; Camacho e Gordillo terzini; Tendillo stopper e Alesanco libero. A centrocampo “Periko” Alonso, “Tente” Sanchez e l’idolo di casa Enrique Saura. Juanito ala destra, Lopez Ufarte ala sinistra e il navarro Satrustegui centravanti. Arbitra il paraguagio Ortìz assistito dal belga Ponnet e dal peruviano Labo Revoredo.

All’esterno del locale girano più bande di skinhead che automobili eppure i giovani neonazisti di Shankill, futura manovalanza unionista, sanno benissimo di dover sempre rispettare, pena la gambizzazione, le regole dell’UDA.

Il buio è ancora lontano, così come il suono delle sirene e il volo degli elicotteri. Il muro di Cupar Way, ad un solo chilometro in linea d’aria, fa il suo squallido mestiere separando con cemento e reti metalliche l’area meridionale di Shankill dalle prime luci di Falls Road che apre il passaggio verso la zona cattolica di Ballymurphy dove, agli ordini di Gerry Adams e di Martin McGuinness, regna la Brigata Belfast della Provisional IRA e dove il tifo calcistico è tutto per il Celtic di Glasgow e per la Nazionale dell’Eire.

Le chiamano Peace Lines, linee di pace, interrotte, come a Berlino, da check point presidiati dai paracadutisti di Sua Maestà i cui blindati pattugliano strade deserte soltanto in apparenza.

Pronti, via e la Spagna affonda nel burro: Juanito riceve sulla trequarti, si gira e lancia in area Lopez Ufarte, solo davanti a Jennings. Il pub ammutolisce, ma il portierone si tuffa sulle caviglie dell’attaccante e gli strappa il pallone dai piedi. La sala esulta con urla e applausi.

I biancoverdi accusano il caldo e la difesa soffre quando i colleghi del reparto avversario avanzano sui calci d’angolo. Prima Tendillo incorna in avvitamento e manda fuori, poi Alesanco, imbeccato dalla bandierina opposta, spedisce oltre la traversa. Jennings rimprovera i compagni con lo sguardo, McCreery usa la voce. O’Neill è il capitano, tocca a lui suonare la carica. Avanza fronteggiato da Sanchez, vede Whiteside liberarsi sul limite dell’area e lo serve d’esterno. Il ragazzo di Shankill sente Camacho ringhiare da dietro, lo evita piroettando sul tacco e conclude di destro in diagonale.

Arconada blocca a terra. La sala si scalda: “Norman Whiteside!! Norman Whiteside!!”.

I biancoverdi finalmente reagiscono, hanno preso le contromisure.

Il pubblico si rinfresca la gola a ritmo regolare, la cappa di fumo avvolge il chiasso e distende i nervi a fior di pelle che ormai fanno parte del vissuto quotidiano. In campo i nervi sono già saltati: Juanito, Hamilton e McIlroy rimediano il cartellino giallo.

Billy Bingham, in panchina, urla da seduto, i suoi sembrano resistere e la Spagna, piano piano, abbassa i toni. I ragazzi allenati da Santamaria cominciano a pensare alle notizie diffuse dai giornalisti per tranquillizzare l’ambiente. Alle cinque del pomeriggio, infatti, quattro ore prima della gara, i nordirlandesi erano ancora in albergo, a bordo piscina, con le mogli, le fidanzate e le immancabili birre in mano. La tribuna stampa saluta ottimista la fine del primo tempo di una pura formalità.

“Te lo ricordi il figlio di Norman?” chiede Bill il barista.

“Sembra che il ginocchio operato sia tornato a posto” risponde Ed McAllister, professione falegname, allungando il bicchiere vuoto per chiedere un’altra scura.

“Abitano ancora giù, a Danube street?”, “Pare di sì, almeno Aileen, la madre, con gli altri due figli. Il padre invece fa sempre avanti e indietro con Manchester”, “È tanto che non stanno più a Shankill”, “Uh! Saranno quasi sette anni, ma vedrai che adesso andranno tutti a Manchester”, “Norman gli ha dato il suo stesso nome, ci credeva proprio”. Il barista abbassa la manopola della Caffrey’s, riempie il bicchiere tenendolo inclinato e lo riporta lentamente in verticale formando un dito perfetto di schiuma bianca. La birra scura a Shankill è solo Caffrey’s. La Guinness è bandita. Bill solleva il suo scotch e propone un brindisi: “A Norman, il figlio di Norman”. Ed McAllister incoccia vetro su vetro e risponde: “A Norman!”.

Belfast

Con lo 0-0, la Spagna è prima a 4 punti, l’Irlanda del Nord raggiunge a 3 la Jugoslavia, premiata tuttavia dal regolamento per aver segnato un gol in più.

La gente si accalca davanti alla porta del bagno, i bicchieri vuoti tornano indietro, qualcuno esce all’esterno per sgranchirsi le gambe, ma sempre con molta attenzione sebbene il sole non tramonti ancora. Gli uomini dell’UDA si danno il cambio, prima quelli di ronda tra il vicolo e il murales di Re Guglielmo a cavallo, poi quelli sulla porta.

A turno bussano al bancone per una bevuta. Una pinta chiara a testa anche per la pattuglia della RUC, tutti anglicani, tutti unionisti, tutti di casa. Bill serve gli astanti e continua a parlare con l’amico falegname seduto al solito sgabello: “È sempre stato forte quel ragazzo, fin dai campionati della scuola”, “Puoi dirlo forte…” esclama Ed sfilando una Camel dal pacchetto accartocciato “…segnava gol a grappoli, anche contro i più grandi, era una belva in mezzo al campo.

Lo volevano portare a Ipswich, ma Bobby Robson s’è messo a ridere quando gli hanno detto che a Belfast c’era un fenomeno di undici anni”, “E adesso si mangiasse le mani” interviene David, il figlio maggiore di Bill. “Tu non perdere tempo, muoviti!” lo incalza il padre “Guarda i bicchieri ancora da lavare”. Il figlio sistema un vassoio di pinte vuote nel lavandino, apre il rubinetto e continua: “E adesso se lo gode lo United”.

McAllister annuisce con la sigaretta accesa stretta tra i denti e avvolto da una nuvola di fumo, dilaniata dallo sventolio del fiammifero appena spento che il falegname stesso fa volare nel posacenere. In tema di calcio e politica, qui dentro, vanno tutti d’accordo: tutti tifosi del Linfield e tutti schierati con l’UDA.

Il parlamento di Stormont è sospeso dal ‘72, l’anno peggiore, e il tentativo di rilanciarlo dopo due anni, da parte del Governo laburista di Wilson, era fallito proprio per gli scioperi sostenuti dai partiti unionisti dell’Ulster, quelli che gestiscono da sempre le amministrazioni locali discriminando i cittadini cattolici nell’accesso alle liste di collocamento e nell’assegnazione delle case popolari.

Londra governa la regione attraverso il Ministro per l’Irlanda del Nord altresì detto Segretario di Stato, carica sgradita a tutti. L’attuale è James Prior, bocciato dalla Thatcher come Ministro del Lavoro, ma che in aprile ha dichiarato di non aver alcuna intenzione di mettere l’UDA fuorilegge dopo che la stessa Lady di ferro aveva detto: “L’Irlanda del Nord fa parte del Regno Unito tanto quanto il mio collegio elettorale”.

La Spagna rientra in campo con l’esperto Quini al posto di Satrustegui, tra i biancoverdi nessuna faccia nuova. Il caldo di Valencia suggerisce di prendersela comoda e contagia anche il pub di Townsend dove sono pochi quelli già tornati ai propri posti. La fila davanti al bagno non si è ancora esaurita e i vigilanti rimandano tutti dentro, la partita ricomincia.

Neanche un minuto e Gordillo avanza sulla fascia sinistra, supera la metà campo, tocca in mezzo per Lopez Ufarte che, in posizione di interno, serve il terzino del Betis fronteggiato da Jimmy Nicholl. Gordillo si accentra, si ferma, si gira e apre all’esterno verso Sanchez, ma il passaggio è troppo corto.

Gerry Armstrong, retrocesso in copertura, intercetta col destro, zappa col sinistro per tagliar fuori il ritorno dell’avversario e si ingobbisce in una corsa a testa bassa solo contro tutti. O’Neill lo guarda passare, non lo accompagna, preferisce non sfilacciare la squadra.

I rossi ripiegano in fretta, Sanchez rincorre l’attaccante del Watford fin oltre la linea di metà campo, ma rinuncia ad abbatterlo. Alonso lo ha quasi raggiunto e ormai la difesa è schierata in linea. Lontano a destra c’è Camacho, al centro Alesanco affiancato dallo stesso Alonso che fa scalare Tendillo a sinistra urlandogli: “Tòmalo!”.

Si riferisce a Billy Hamilton che corre sulla destra d’attacco con la sfera appena ricevuta da Armstrong  all’altezza del vertice dell’area grande. Il numero 11 punta Tendillo in perfetto stile britannico: palla in avanti con l’esterno e spalla a spalla col nemico.

Hamilton prende un passo di vantaggio sul difensore, quel tanto che basta per alzare la testa e per crossare in mezzo. Arconada invece prende una “cantata” (come dicono in tribuna) uscendo basso a mano aperta tagliando fuori Alesanco meglio piazzato e soprattutto senza avversari alle spalle.

Perché l’unico avversario in turno, Gerry Armstrong, è rimasto fermo all’altezza del dischetto proprio dove va a cadere il pallone smanacciato dal portiere. El tigre di San Sebastiàn, balza in piedi rapidissimo, ma il cannone destro del numero 9 ha già acceso la miccia con il corpo all’indietro: collo pieno, rumore sordo e Mestalla muto. La palla brucia l’erba in linea retta e trafigge rasoterra prima le gambe di Arconada e poi quelle di Alesanco. Il club lealista esplode nell’unico boato bello di questi tempi a Belfast.

Qualcuno se l’è perso, qualcuno esce di corsa dal bagno, gli uomini dell’UDA aprono la porta increduli. Whiteside è inquadrato in primo piano felice tra l’autore del gol che ride e McIlroy che zoppica, poi arriva Hamilton, poi O’Neill. La sovrimpressione dice: 0-1, ma è presto per cantar vittoria.

La Spagna riparte all’arrembaggio: Saura crossa in mezzo da destra, Quini sposta McClelland e lascia passare per Lopez Ufarte solo in area con il sinistro pronto.

Pat Jennings rimane immobile, aspetta il tiro, si accartoccia come un gatto sul primo palo e si rialza con la palla tra le mani. I lealisti e gli skinhead di Shankill gli regalano altri applausi.

“Se gioca con noi non può essere un repubblicano!” sentenzia McAllister. Townsend gli dà ragione e solleva il bicchiere appena riempito di scotch: “A Pat Jennings!”. “A Pat Jennings!” risponde sottovoce Ed il falegname con la birra già agli sgoccioli.

Sammy McIlroy lascia il posto al veterano Tommy Cassidy. Billy Bingham vuole la squadra chiusa, adesso sì che gli sarebbe tornato utile quel pazzo di George Best, accidenti a lui e alla California, alla Florida o dove altro diavolo se ne sta in vacanza da una vita. La Spagna assedia, cross e controcross, Hamilton fa il quinto difensore e allontana di testa, la palla spiove al limite dell’area proprio sul destro al volo di Alonso.

Donaghy ci mette la gamba, respinge la bomba e insegue il rimbalzo preoccupato dalla corsa di Camacho che tuttavia si accontenta del fallo laterale proteggendo l’uscita della sfera. Donaghy lo tampona e lo sbatte sui cartelloni pubblicitari.

Il terzino del Real Madrid si gira minaccioso verso l’avversario, nato nei tornei parrocchiali di Belfast, svezzatosi prima a Larne e poi a Londra e rapido nel colpire al volto il numero 2 spagnolo.

Il guardalinee peruviano richiama l’arbitro: cartellino rosso. Donaghy sorride incredulo con la sua faccia da boy scout. Il Mestalla applaude e il pub intero può insultare tre cattolici insieme: l’arbitro, il guardialinee e il giocatore che lascia il campo senza protestare.

Con la squadra in dieci, la sala inizia a cantare un classico da queste parti: ‘No Surrender’. Al momento del ritornello, Townsend e McAllister, battono la mano sul bancone: “Then here’s to the boys that fear no noise, and never will surrender. The gates we’ll close against her foes on the eighteenth of december”.

Billy Bingham sembra gradire la canzone e fa passare quasi dieci minuti prima di mandare in campo Sammy Nelson, navigato terzino del Brighton. Il pezzo da sacrificare è proprio il ragazzo di Shankill, Norman Whiteside che, a piccoli passi, porta in panchina il suo numero 16. Tutto il locale lo accompagna con cori e applausi: “Norman Whiteside!!! Norman Whiteside!!!”

Pat Jennings tiene la porta inviolata fino al novantesimo e il risultato non cambierà più. L’Irlanda del Nord vince partita e girone e proseguirà contro Austria e Francia. La Spagna invece dovrà sperare nel Bernabeu per sopravvivere tra inglesi e tedeschi.

Nel frattempo su Belfast è sceso il buio, un buio che dura da tredici anni. Le parate orangiste di luglio si svolgeranno nel solito clima di terrore perché la Provisional IRA tornerà presto in azione, così come l’INLA e così come (quando non impegnati nelle faide interne o nei reciproci regolamenti di conti) l’UFF, braccio armato dell’UDA, e l’UVF (Ulster Voluntary Force) nei cui ranghi a giorni, dopo quattro anni e mezzo di galera, rientrerà Lenny Murphy, psicopatico leader degli Shankill Butchers, assassino di cittadini cattolici almeno fino a novembre quando cadrà crivellato da un commando dell’IRA.

In ottobre, Gerry Adams e Martin McGuinness risulteranno eletti nelle liste del Sinn Fein per la nuova assemblea legislativa dell’Ulster, ma il processo di pace è ancora molto lungo. Intanto anglicani e cattolici, nella stessa squadra, si abbracciano e saltano felici per aver portato un Paese in guerra al secondo turno. Tra loro c’è anche Norman Whiteside, ragazzo sopravvissuto all’inferno di Shankill, ragazzo che ai prossimi Mondiali del Messico avrà 21 anni e il numero 10 sulle spalle. Sarà il 1986 e i morti in Irlanda del Nord avranno superato quota 2.700.

tratto da “Notti magiche” – Graus editore 2018