“Un salto.

Devo solo fare un salto.

In fondo cosa c’è di diverso da quello che ho fatto per tutta la mia carriera ?

Era la mia specialità.

Saltare. Per andare a colpire di testa il pallone lassù, dove gli altri non arrivavano.

I miei compagni lo sapevano bene. Ferenc, Nándor, László, Zoltán, Jozsef e tutti gli altri.

“Ragazzi, quando gli spazi sono intasati basta buttarla alta in mezzo all’area. Poi ci penserà Sandor !”

Quante volte ho sentito da Ferenc questa frase !

Era la cosa nella quale ero davvero il più bravo di tutti.

Qualcuno dice che l’ho trasformata in un’arte.

In fondo a pallone si gioca prevalentemente con i piedi e nella storia del calcio sono stati quelli bravi davvero con i piedi che sono rimasti nel ricordo degli appassionati.

Per me è stato diverso.

Attenzione: con i piedi ci sapevo giocare !

Mica ero scarso anzi !

Avevo una buona padronanza del pallone ed ero anche piuttosto veloce e quando Ferenc, Nándor, László, Zoltán, Jozsef e tutti gli altri  mi lanciavano il pallone negli spazi sapevo come arrivarci prima dei difensori avversari e scaraventarlo in fondo al sacco.

Ma c’era una cosa dove davvero non avevo rivali.

Quando vedevo un mio compagno di squadra andarsene via sulla fascia, arrivare quasi sulla linea di fondo campo e poi, con una perfetta torsione del bacino a un altrettanto perfetto calcio con l’interno del piede mettere il pallone proprio al centro dell’area di rigore avversaria … beh … sapevo già che fine avrebbe fatto quel pallone !

Non sono un gigante. Mi mancano un paio di centimetri ad arrivare al metro e ottanta ma saltare e colpire un pallone con la testa sono le cose che mi riescono meglio di tutte.

Saltare. Colpire di testa. Saltare ancora e colpire di testa.

Dio solo sa quante ore ho passato in palestra negli anni della guerra a perfezionare la mia tecnica.

Ero solo un ragazzo e giocare all’aperto non era certo consigliato in quel terribile periodo.

Ma mi è servito eccome.

Ci ho costruito sopra una carriera intera, togliendomi tante soddisfazioni ma anche con tanti rimpianti. Perdere una finale di Coppa del Mondo e una di Coppa dei Campioni non è facile da assimilare … anche perché di quelle occasioni non ne hai tante in carriera.

A me è capitato due volte.

Perdendole entrambe.

Ora però ho problemi molto più grandi.

Sono malato e non ho nessuna voglia di aspettare che il male si “mangi” il mio corpo piano piano, giorno dopo giorno …

Devo giocare d’anticipo, come ho fatto per tutta la carriera.

Saltando prima dei difensori e restando lassù, sospeso per qualche frazione di secondo in attesa di colpire il pallone di testa.

Un salto, in fondo è solo un salto.

Ne ho fatti così tanti nella mia carriera …

Quel salto, l’ultimo della sua vita, Sandor Kocsis lo farà dal quarto piano dell’Ospedale di Barcellona il 22 luglio del 1979, a neppure cinquant’anni di età.

Era da tempo che “Kocka” doveva convivere con fortissimi dolori allo stomaco e oltre alla leucemia della quale soffriva da tempo ora gli era stata diagnosticato un cancro proprio in quella parte del corpo.

Troppo per il taciturno e timidissimo attaccante della Grande Ungheria, la “Squadra d’oro” di Puskas, Hidegkuti, Czibor, Grosics e Zakarias.

Già durante il suo soggiorno in Svizzera, in fuga dalla sanguinosa repressione sovietica ai moti libertari della Rivoluzione Ungherese, Sandor Kocsis aveva avuto problemi di depressione.

Il mancato pass dalla Honved per poter ricominciare a giocare a calcio nel piccolo Paese che lo aveva visto protagonista nella Coppa del Mondo di due anni prima lo aveva messo moralmente al tappeto.

Un lavoro come rappresentante di forniture domestiche non è certo l’ideale per un uomo di 27 anni nel pieno della sua maturazione psico-fisica che in quel Mondiale aveva scritto alcune delle pagine più gloriose della storia del calcio con i suoi undici gol realizzati in soli cinque incontri.

Poi, nel 1958, arriva finalmente l’amnistia per tutti quei calciatori che al momento dello scoppio degli scontri tra i giovani studenti ungheresi e le forze sovietiche decisero di rimanere nell’Europa Occidentale subito dopo l’incontro con l’Athletic Bilbao in Coppa dei Campioni.

A quel punto, dopo una stagione in Svizzera nelle file del Young Fellows Zurich arriva per Sandor Kocsis la grande occasione per tornare nel calcio che conta.

Lászlo Kubala invita Kocsis e il compagno di mille battaglie Zoltan Czibor, ad unirsi a lui nel club catalano.

Kocsis segna all’esordio contro il Real Betis Siviglia ed entra ben presto nel cuore dei tifosi “Blaugrana”.

Il Barcellona domina in Spagna. Fa la doppietta campionato e coppa nel 1958-1959, rivince il campionato la stagione successiva e trionfa ancora nella Copa del Generalisimo (dedicata al dittatore Francisco Franco) nel 1963.

L’ultima sua stagione da protagonista sarà quella successiva, quella del 1963-1964 dove metterà a segno 19 reti in 29 partite prima di retrocedere l’anno successivo nelle gerarchie di squadra.

Nel 1965 appenderà gli scarpini al chiodo.

Barcellona lo ha accolto e lo venera.

Nella città di Joan Mirò e di Josè Carreras Kocsis apre un ristorante ma il richiamo del calcio è troppo grande. Intraprende la carriera di allenatore ma con scarsi risultati sia all’Hercules che all’Alicante.

Pochi anni dopo viene aggredito dalla malattia alla quale si arrenderà come detto nel luglio del 1979 decidendo di anticipare mesi di sofferenze.

Sandor Kocsis resta uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio moderno che raramente ha avuto lo spazio nell’immaginario collettivo che avrebbe meritato, offuscato dal talento con pochi uguali di Ferenc Puskas e inibito da un carattere estremamente introverso e poco incline a quelle autocelebrazioni che tante volte hanno fatto la differenza tra un campione conclamato e un altro rimasto nel culto di pochi appassionati.

ANEDDOTI E CURIOSITA’

La sua abilità nel gioco aereo non è solo una dote naturale. Fin da ragazzo i suoi allenamenti prevedevano tanto lavoro sullo stacco, la coordinazione e il colpo di testa.

Appena finita la seconda guerra mondiale il quindicenne Kocsis inizia a giocare per un piccolo club giovanile, il Kőbányai TC. Occorre però molto poco tempo prima che si accorgano di lui quelli del Ferencvaros.

“Kocka” è solo da pochi mesi al club ma le sue doti sono così evidenti che viene fatto esordire in prima squadra prima ancora di compiere diciassette anni.

Alla fine della stagione 1947-1948 arriva addirittura l’esordio in nazionale in un match della “Balkan Cup” contro la Romania.

Sandor Kocsis ha diciotto anni e nove mesi.

All’esordio segna due reti. Saranno le prime di una lunga serie.

Quando chiuderà con la Nazionale nel 1956 (a soli 27 anni) di reti ne avrà segnate 75 … e in sole 68 partite.

La sua media, tra i calciatori con almeno 50 incontri nella propria Nazionale in partite ufficiali, è la più alta della storia del calcio. Dietro di lui c’è Gerd Muller, il grande attaccante tedesco capace di segnarne 68 in 62 partite. Sono gli unici con più reti che presenze segnate in Nazionale.

Con il Ferencvaros nel 1949 arriverà il suo primo titolo d’Ungheria.

Con i “Zöld Sasok” (le aquile verdi) rimarrà solo un’altra stagione.

A quel punto la politica, entrata prepotentemente nel mondo del calcio e dello sport in generale fa si che Kocsis, come tanti dei suoi più forti connazionali, finisca nelle file dell’Honved, la squadra dei militari.

Qui troverà Ferenc PuskásZoltán Czibor and József Bozsik, con i quali formerà l’ossatura di questa meravigliosa squadra e in seguito della “Grande Ungheria”.

Un anno dopo in quell’Honved entrerà a far parte anche László Budai che, seppure non celebrato come tanti dei suoi compagni di squadra, diventerà fondamentale nel gioco di Kocsis proprio grazie all’abilità nei cross dalla fascia destra che Kocsis trasformerà spessissimo in gol.

Nel 1950 inizierà l’epopea di quella meravigliosa nazionale ungherese che rimarrà imbattuta in campo internazionale per oltre quattro anni e mezzo … cedendo solo ai “trasformati” tedeschi dell’ovest nella famosa finale di Berna del 1954.

Prima di quei Mondiali per l’Ungheria arriva il trionfo nei giochi olimpici finlandesi del 1952 ma la consacrazione definitiva, per Kocsis e compagni, è attesa in quell’estate svizzera di due anni dopo.

Gli ungheresi sono un rullo compressore. Ai quarti di finale eliminano il Brasile di Djalma Santos, Didi, Pinga e Juninho con un netto quattro a due (e una doppietta di “Kocka”)

La partita più sofferta e spettacolare arriva in semifinale.

Di fronte i campioni in carica dell’Uruguay di Schiaffino, Maspoli, Santamaria e Hohberg.

Pare tutto in discesa quando prima Czibor e poi Hidegkuti portano sul due a zero gli ungheresi.

Ma la “garra charrua” uruguaiana è conosciuta da tempo.

Ci pensa il bomber argentino naturalizzato uruguaiano Juan Eduardo Hohberg ad accorciare le distanze ad un quarto d’ora dalla fine e poi, a tre minuti dal fischio finale, a trovare il gol del pareggio.

L’immagine dei tre giocatori ungheresi disperati sulla linea di porta subito dopo il gol è significativa.

Una vittoria sfuggita ad un soffio dalla fine e con i tempi supplementari che incombono.

Nel primo tempo supplementare gli ungheresi paiono “sulle gambe”.

L’Uruguay colpirà anche un palo e la partita sembra obiettivamente a senso unico.

Sarà a quel punto che Sandor Kocsis salirà in cattedra.

E’ proprio Budai ad andarsene sulla destra, arrivare quasi sulla linea di fondo e mettere quel pallone a centro area diventato “marchio della casa” per Honved e nazionale magiara.

Lo stacco di Koscis è maestoso. Sovrasta il suo marcatore Santamaria e mette la palla dove Maspoli non può arrivare.

Mancano dieci minuti al termine dell’incontro.

Dovrebbe essere il gol decisivo. A scanso di equivoci l’azione si ripete, pressoché identica pochi minuti dopo. Le cronache sono discordanti su chi abbia fatto il cross sul secondo palo per la letale testata di Kocsis … forse ancora Budai o forse è stato Hidegkuti.

Il finale però è identico. Stacco imperioso di Kocsis e palla schiacciata a terra e mezzo metro dal palo alla destra di Maspoli.

Le cronache raccontano di una squadra ungherese esausta, completamente priva di energie dopo quegli intensissimi centoventi minuti.

Kocsis viene perfino aiutato a vestirsi … in corpo non gli è rimasto un briciolo di forza.

L’Ungheria è però in finale.

Ad attendere Puskas (che nel frattempo si è ripreso almeno parzialmente dalle botte dei tedeschi nel girone di qualificazione) e compagni ci sono proprio i tedeschi occidentali, annichiliti con un perentorio otto a tre due settimane prima.

Quello che accadrà in quella finale si muove ancora oggi tra cronaca, storia e leggenda.

Dopo il due a zero iniziale in soli otto minuti di gioco firmato Puskas e Czibor l’Ungheria si spegne … o meglio … la Germania si accende di una forza mai vista e per molti sospetta.

Questo è almeno quello che è ci è stato tramandato nelle cronache e nei racconti da allora.

Non è andata affatto così.

Concessi due gol ai tedeschi nel giro otto minuti (Morlock al 10mo e Rahn al 18mo, il secondo viziato da un’evidente carica di Schäfer al portiere ungherese Grosics) la partita rimane in equilibrio per il resto del primo tempo anche se l’occasione più nitida capiterà ancora agli ungheresi con un palo colpito da Hidegkuti con il numero tedesco Turek battuto)

Nel secondo tempo, al contrario di quanto raccontano molte “fantasiose” cronache che raccontano di una Germania trasformata dopo l’intervallo e di una nazionale magiara spenta e sulle gambe, sono invece gli ungheresi ad avere il dominio totale dell’incontro. Prima un tiro di Czibor viene respinto dal difensore tedesco Kohlmeyer sulla linea di porta con il portiere tedesco Turek battuto e poi è proprio Kocsis al 57mo che con uno dei suoi proverbiali colpi di testa va a colpire in pieno la traversa con Turek che può solo seguire la traiettoria del pallone e sperare.

Dieci minuti dopo è proprio Puskas,  su un passaggio di Hidegkuti e una geniale finta di Kocsis a trovarsi solo davanti al portiere tedesco. Il suo solitamente letale sinistro stavolta non è irresistibile e il numero uno tedesco riesce a respingere di piede la conclusione del capitano magiaro.

… dimostrazione inequivocabile delle sue precarie condizioni fisiche …

La prima conclusione a rete degna di questo nome per i tedeschi arriva solo ad un quarto d’ora dalla fine, proprio con l’ala destra Rahn, respinta con un plastico volo da Grosics.

E’ a quel punto, e solo allora, che la fatica inizia ad appesantire le gambe degli ungheresi.

Ma sono ancora loro ad avere l’occasione più importante.

E’ il 78mo quando Zoltan Czibor s’infila tra le maglie della difesa tedesca e si presenta solo davanti a Turek.

Sembra la sentenza a quella che sarebbe una vittoria strameritata.

Czibor però con l’ultimo tocco si allunga leggermente il pallone e quando Turek si lancia con coraggio sui suoi piedi il numero undici ungherese riesce solo a toccare con la punta del piede il pallone che incoccia sul corpo del portiere tedesco.

La palla scivola sulla sua sinistra dove arriva Hidegkuti, il più lesto a seguire l’azione.

Con la porta sguarnita però il “falso centravanti” dell’Ungheria riesce solo a calciare sull’esterno della rete.

Di minuti ne mancano ormai poco più di cinque quando su un cross senza esito dalla sinistra Helmuth Rahn raccoglie il pallone qualche metro fuori dall’area. Il terzino sinistro ungherese Mihaly Lantos gli si fa incontro per contrastarlo ma Rahn fa una finta, si porta il pallone sul sinistro e lascia partire un rasoterra che finisce la sua corsa in fondo alla rete dell’incolpevole Grosics.

Quello di cui si è perso traccia in molte delle cronache dell’epoca e raccontate in seguito è quanto accade due minuti dopo, all’86mo.

Le immagini mostrano solo Puskas ricevere palla sul vertice sinistro della’area di porta, allungarsi in scivolata e con un preciso tiro di contro balzo mettere il pallone alle spalle del portiere tedesco.

Quella rete verrà annullata, per un fuorigioco che dalle immagini è molto difficile da rilevare.

Quello che accade due minuti dopo è ancora più clamoroso e getta un ombra ancora più lunga su quella finale.

Lantos dalla retrovie lancia un lungo pallone verso l’area di rigore tedesca. Hidegkuti scatta per raggiungere il pallone ma in quel momento un difensore tedesco, vistosi completamente scavalcato dalla traiettoria, non trova di meglio che disinteressarsi completamente del pallone e stendere in piena area di rigore Czibor, che stava anche lui correndo su quel pallone.

Non ci sarà più tempo.

Finirà tre a due per i tedeschi e l’Ungheria, forse la nazionale più forte mai vista  nella storia del calcio, chiuderà la sua storia senza un titolo mondiale.

Per Sandor Kocsis non sarà l’unica grande delusione della carriera.

Un’altra altrettanto cocente arriverà sette anni dopo e per ironia della sorte ancora a Berna.

E’ proprio nella città svizzera che si gioca la finale di Coppa dei Campioni il 31 maggio del 1961.

Di fronte al Barcellona (capace di eliminare negli ottavi di finale il Real Madrid, vincitore delle cinque precedenti edizioni) ci sono i portoghesi del Benfica.

Dopo ventuno minuti è proprio Kocsis a portare in vantaggio i suoi.

Azione sulla destra, passaggio filtrante per Suarez che ad un paio di metri dalla linea di fondo mette un pallone perfetto sul secondo palo.

La torsione e la potenza inflitta al pallone dal colpo di testa di Kocsis confermano quanto tutti sanno ormai da tempo: nel gioco aereo l’attaccante ungherese non ha rivali.

Sembra il preludio ad una facile vittoria.

Non sarà così.

Nel giro di due minuti intorno alla mezz’ora il Benfica ribalterà il risultato con due reti peraltro evitabilissime dalla difesa di Ramallets e compagni.

Pochi minuti dopo Kocsis avrebbe il pallone per pareggiare. Un tiro del brasiliano Evaristo viene ribattuto dalla difesa portoghese. Il pallone rimane tra i piedi del centravanti del Barça che lo rimette verso il centro dell’area. Kocsis è in agguato e si lancia sul pallone colpendolo di testa in tuffo. Costa Pereira, il portiere dei lusitani è battuto, ma ci pensa Germano a salvare sulla linea di porta.

Nella ripresa è il grande Mário Coluna, il talentuoso regista del Benfica e della Nazionale portoghese a segnare il terzo gol.

La reazione del Barcellona è veemente ma poco fortunata.

Prima è Kocsis a colpire la base del palo con uno dei suoi proverbiali stacchi aerei e poi, sembra su una sua sponda aerea, Kubala con un gran tiro da fuori colpirà il palo alla destra di Costa Pereira, attraverserà tutto lo specchio della porta “danzando” sulla linea bianca prima di andare a sbattere sull’altro palo e arrivare poi docilmente fra le braccia del numero uno portoghese.

Ad un quarto d’ora dalla fine sarà Czibor, con un meraviglioso tiro da fuori, a rimettere in discussione l’incontro.

Non ci sarà nulla da fare.

Un’altra sconfitta sull’ultimo ostacolo.

Un altro due a tre e per Kocsis l’ultima occasione per la conquista di un grande trofeo.

Infine i numeri, che come spesso accade raccontano molto più delle parole.

Detto del suo incredibile record con la nazionale magiara a livello di club ha segnato 376 reti in 402 partite ufficiali. I suoi undici gol in una fase finale di un Campionato del Mondo (segnate ricordiamolo in sole cinque partite) è stato battuto soltanto da Just Fontaine quattro anni dopo in Svezia.

Nel 1952 e nel 1954 è stato l’attaccante più prolifico di tutti i vari campionati europei … anche se la “Scarpa d’oro” fu un trofeo che ai tempi non veniva assegnato.

… forse, quando si parla dei grandi attaccanti della storia del calcio il suo nome dovrebbe essere citato un pochino più spesso …