“Non mi è parso trascendentale, quelli che già abbiamo sono di sicuro meglio”. A Leverkusen, in un martedì di febbraio del 1995, Nedo Sonetti, dopo che il Bayer ha strapazzato 5-1 il Nantes, boccia così il capocannoniere della Ligue 1. Ha l’11 sulle spalle, sottili dreadlock in testa e arriva da 6 gol nelle ultime 5 di campionato: si chiama Patrice, e di cognome fa Loko. Paulo Sergio e Ulf Kirsten demoliscono i gialloverdi di Sauaudeau, che può contare anche su Christian Karembeu e Claude Makelele, e l’allenatore italiano, che guida il Torino, boccia definitivamente il 25enne di Sully-sur-Loire, preferendo i suoi, “quelli che ha già”, quelli che “sono di sicuro meglio”: Abedi Pelé, Pasquale Luiso, Ruggiero Rizzitelli e Andrea Silenzi.

Poco male, perché qualche mese dopo, da campione di Francia e re dei marcatori con 22 gol, Loko lascia il Nantes, sbattendo la porta, per firmare un quadriennale con il Paris Saint-Germain. E’ un Psg è diverso da quello che ormai siamo abituati a conoscere: da pochi mesi ha sostituito la sigla PSG con la Tour Eiffel stilizzato nel personale scudetto, non ha ancora i milioni degli sceicchi in cassa e non ha più nemmeno David Ginola e George Weah, finiti rispettivamente al Newcastle e al Milan. E proprio per sostituire King George, i parigini puntano su Loko. Che lascia subito il segno. Ma, sfortunatamente, in negativo.

“Le men va a cracker”, dicono i giornalisti francesi. “Il ragazzo sta scoppiando”. Tanta pressione, 6 miliardi di lire sborsati per affidargli l’eredità del prossimo Pallone d’Oro liberiano e le mani che tremano nella conferenza stampa di presentazione. Gioca una partita, contro il Bastia, poi la notizia che potrebbe affossare chiunque, ancora di più chi ha voltato le spalle al passato per abbracciare il futuro: “Loko è stato ricoverato in una clinica psichiatrica”. Il motivo? Presto svelato. Nella notte tra il 19 e il 20 luglio, pochi giorno dopo il suo trasferimento, l’11 parigino è protagonista di una serata folle: prima una lite all’Are, locale notturno vicino agli Champs-Elysées, con il posteggiatore, reo di non liberargli la macchina dal parcheggio; poi il classico “voi non sapete chi sono io” urlato in faccia alla pattuglia della polizia giunta sul luogo; infine l’aggressione al medico in commissariato e gli sputi in direzione degli infermieri da dietro le sbarre. Ah, e per non farsi mancare niente davanti a un’ispettrice di polizia, che gli pone qualche domanda, la nuova stella del Psg non risponde. Ma si abbassa i pantaloni…

Loko non aveva bevuto. E non era neanche sotto effetto di stupefacenti. Sono gli esami del sangue a raccontarcelo. Niente sporcizia, quindi, niente che può annebbiare e scuotere l’animo, niente che sia sul fondo di un bicchiere o inspirato sulla tavoletta di un cesso, niente di ‘facile’, ma qualcosa di peggio, di molto peggio, uno di quei mostri invisibili che ti trascinano negli angoli più oscuri della vita, picchiandoti duro ma senza lasciarti segni evidenti. Le critiche per il trasferimento? Anche, ma un professionista ci deve convivere. Il divorzio dalla moglie? Certo, ma un amore, per quanto grande, può anche finire. E allora? E allora qualcosa che non si augura neanche al peggior nemico: la morte di un figlio. Nel dicembre del 1992, per una meningite fulminante, Loko perde il suo piccolino. Straziante. Devastante. Incomprensibile.

Lo stato confusionale fa dimenticare a Loko quella serata di bagordi, ma quel dolore è una cicatrice che evidentemente non potrà mai andare via. Un periodo di stop forzato, per l’erede di Weah, è quello che ci vuole, secondo il Psg, deciso ad aiutare il proprio bomber mettendone in pausa la carriera. Un ctrl+canc per resettare e provare a ripartire, per quanto possa essere complicato E Loko, dentro di sé, trova la forza per risalire. Del resto lo dice anche il motto della città in cui è esploso, Nantes: “Favet Neptunus eunti”. Che si può tradurre in due modi: “Nettuno favorisce il viaggiatore” e “Nettuno sorride a coloro che osano”. Viaggiatore e uno che osa: è il profilo di Loko.

Il classe ’70 salta 8 partite di Ligue 1, dal 26 luglio al 17 settembre, per tornare, per un quarto d’ora, contro lo Strasburgo. Poi, alla prima da titolare dopo lo stop, segna nell’1-1 contro il Rennes. Se in campionato le 22 reti dell’anno prima sono solo un ricordo, chiuderà con 8 gol, è in Europa che le sue treccine si librano nell’area, incantando chi lo osserva (e chi lo marca), moderna medusa che si muove sul filo del fuorigioco. E l’Europa, terreno di caccia invalicabile per i parigini, lo dimostra anche l’ultima Champions League persa contro il Bayern, diventa accessibile proprio con e per Patrice Loko. Che alla spagnola sarebbe Loco, matto, ma che alla francese, in campo, significa solo una cosa: decisivo.

Saltata la prima contro il Molde per i motivi di cui sopra, al ritorno del primo turno di Coppa delle Coppe, nella vittoria per 3-0, Loko gioca 90 minuti, tornando a respirare quell’aria continentale che mancava dai tempi di Leverkusen. Poi arriva il Celtic Glasgow agli ottavi: 1-0 all’andata, gol di Youri Djorkaeff, 3-0 al ritorno, al Celtic Park, con Loko autore di una doppietta: prima un tap-in a punire un’incertezza di Marshall, poi un piattone sinistro aperto, figlio di un preciso taglio sul primo palo, che trasforma in gioia un cross tagliato, dalla destra, di Vincent Guerin. Un gol alla Crespo: elegante, preciso, spietato.

La marcia europea del Psg prosegue e ai quarti incontra il Parma di Nevio Scala.

Al Tardini finisce 1-0, con una firma d’autore: Hristo Stoichkov. Loko, schierato al fianco di Dely Valdes, assistito come sempre dalla classe di Djorkaeff e Rai, non lascia il segno. Ma l’appuntamento è rimandato di sole 2 settimane. 21 marzo 1996, al Parc des Princes Rai, l’idolo di Kakà, apre le danze su rigore dopo 9 minuti, beffando Bucci dagli 11 metri; ma Alessandro Melli, poco dopo , pareggia: stop col petto dal limite dell’area, leggermente a sinistra, e destro fiacco, di quelli che si trascinano verso il portiere. Peccato per il Psg che il portiere sia Lama, uno di quelli che vive per i fotografi: i telecronisti transalpini dicono solo una cosa, ripetendola più volte: “terrible”. E’ 1-1. Un gol che può bloccare sogni avventati di gloria per una società che, lo ripete ogni volta la storia recente, psicologicamente non è che regga tanto bene… 12 minuti dopo, però, il gol che ribalta tutti: sombrero di Rai, che gioca al ralenty ma solo perché vuole rendere accessibile a tutti la sua infinita classe, tocco sbagliato di Mussi nel tentativo di rubargli palla, Loko che, senza treccine, fa suo il pallone che vaga al limite dell’area senza padrone e appena, appena varcato il limite dei 16 metri, da calcettista, con l’esterno destro, sporcato con un po’ di punta, fa 2-1 trafiggendo un impietrito Bucci, che ha la faccia di un Pieraccioni mandato in bianco da una ballerina di flamenco … Intorno al 70esimo, poi, ancora Rai, ancora dal dischetto, fa 3-1 e manda a casa il Parma e in estasi Parigi.

In semifinale basta un doppio 1-0 contro il Deportivo La Coruna: al Riazor il quarto gol in Coppa Coppe di Djorkaeff, al Parco dei Principi il quarto gol in Coppa Coppe di Loko. Solito movimento a beffare la linea per il gioiello francese: largo a sinistra, finta di andare in profondità per poi tagliare verso il centro, palla che esce coi giri giusti dai piedi del prossimo numero 6 dell’Inter, e mentre il difensore avversario si volta per capire dove sia finito, Loko controllo in corsa col mancino, se la mette a posto col destro e imbuca un diagonale vincente. Il Psg è in finale di Coppa delle Coppe.

Le treccine, dicevamo, non ci sono più. C’è un taglio più sobrio, il consueto 11 stampato sulle maglie larghe quegli anni, che si gonfiano come piccoli paracaduti a ogni accelerazione, e uno sguardo più convinto che mai. E’ un Loko diverso. Che non ha bisogno di gridare “voi non sapete chi sono io”, no, decisamente… gli basta correre libero e calciare in porta su un prato verde per ribadirlo ogni 90 minuti di, parafrasando Oliver Stone, ogni maledetta partita..

Si arriva così alla finale di Bruxelles, città in cui si torna a giocare l’atto conclusivo di una competizione europea 11 anni dopo la strage dell’Heysel. Difronte al Psg di Fernandéz, che schiera Lama; Colleter, N’Gotty, Le Guen e Roch; Fournier, Bravo Guerin; Rai; Djorkaeff e Loko, c’è il Rapid Vienna di Dokupil, che può contare sulle parate di Konsel, sull’icona anni ’90 Trifon Ivanov e sul gigante tedesco Carsten Jancker. Pierluigi Pairetto è il primo a essere inquadrato, ma quello che viene seguito per più tempo è Loko, che sulle spalle, oltre al consueto 11, ha anche il nome, scritto in blu su un rettangolo bianco molto amatoriale. Il Psg fa la gara, il Rapid Vienna picchia, Djorkaeff sfiora un gol spettacolare con un tiro al volo che scheggia la traversa, e a segnare, dopo venti minuti, è Bruno N’Gotty, che da 30 metri, con una punizione a due deviata, schiaffeggia la rete alle spalle di capitan Konsel. E Loko? Duetta a memoria con Djorkaeff: quando il talento parigino ha la palla, Loko sa sempre cosa fare. E infatti, poco prima della fine dei primi 45’ minuti, un tracciante verticale di Djorkaeff pesca largo a destra Loko, che corre verso la porta e serve la sfera a Dely Valdes. Sprecone. Il pallone finisce alto.

Nel secondo tempo sono sempre Djorkaeff e Loko a farla da padroni: palo del numero 6, che sfrutta un taglio del compagno per mettersi in proprio e sparare un destro che rimbomba sotto il cielo belga, poi è Loko che col sinistro, in diangolane, dopo aver vinto un duello coi centrali austriaci, a sfiorare il bersaglio grosso. Ah, poi c’è Dely Valdes che sbaglia a porta vuota. Ancora una volta. Dopo dei voli di Lama, questa volta fondamentali, una punizione di Djorkaeff che meriterebbe altra fortuna, e un gol annullato a Loko per fuorigioco, arriva il triplice fischio finale di Pairetto.

Il Paris Saint-Germain vince la prima, e unica, coppa europea della sua storia, i tifosi cantano We Are the Champions, Djorkaeff viene portato in trionfo da Rai, Luis Fernandez coccola i suoi figli, Lamo abbraccia N’Gotty, Yannick Noah sorride compiaciuto a bordo campo, la coppa coi nastrini rossi e blu attende di essere alzata. E Loko si guarda attorno. Resta un attimo solo prima di stringere a sé qualcuno. Sì, perché dopo il 90esimo Loko non abbraccia, non accarezza, non coccola: stringe. Stringe Bravo in un abbraccio fraterno. Stringe nella mano destra, dopo averla baciata, la medaglia del campione. Stringe tra le sue mani la Coppa delle Coppe, alzandola al cielo dopo Lama, Djorkaeff, Bravo e Roche. Dopo aver toccato il fondo, per necessità e non per errore, si è trovato sul tetto d’Europa. E da lassù, Loko, guarda con occhi sognanti ciò che lo circonda. Perché in fin dei conti “Favet Neptunus eunti”. Nettuno sorride a coloro che osano.

Ah, un’ultima cosa. Fate che sono passati i titoli di coda sulle note dei Queen e che questa sia una di quelle scene nascoste che costringono gli spettatori a stare seduti sulle poltroncine del cinema. Ecco. Ora immaginate un divano, di quelli comodi, Simpson style. Ci siete? Lì, seduto, per tutta la stagione 95/96 c’è un allenatore che Loko, un anno prima, lo ha snobbato. Sì, è Nedo Sonetti, senza squadra. Del resto… “Favet Neptunus eunti”. E lui, a Leverkusen, non ha avuto la forza di osare.